lunedì 31 agosto 2015

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Dario Bressanini

Scienza in cucina

di Dario Bressanini

Il "latte" di soia tradizionale. Soia #2

La soia (Glicine max) è un legume originario dell’Asia che, a causa della presenza di varie sostanze antinutrizionali, cioè molecole che interferiscono con l’assorbimento di nutrienti da parte del nostro corpo, deve essere trattato in vario modo prima di essere consumato. Questa volta a partire dai semi di soia prepariamo il cosiddetto “latte”, un liquido acquoso biancastro, punto di partenza per la produzione del tofu e altri prodotti.
Questa bevanda a base di soia è preparata in Cina almeno da duemila anni. Alcuni bassorilievi risalenti alla dinastia Han orientale (25-220 DC) mostrano la fase della macinazione dei semi per ottenerla. In suo nome in cinese Cina è Doujiang che significa letteralmente “siero di soia” e non fa riferimento al latte, che non ha mai fatto parte degli alimenti comunemente consumati in Cina.
Bevanda alla soia tradizionale cinese.
È molto semplice preparare secondo il processo tradizionale questa bevanda, ora sempre più diffusa e utilizzata al posto del latte vaccino da chi non desidera assumere prodotti animali. Lavate 100 g di semi di soia e lasciateli a bagno una notte in frigorifero. È possibile anche lasciarli a bagno a temperatura ambiente ma l’ammollo in frigorifero riduce la formazione di odori e sapori non desiderati duranti le fasi successive di lavorazione.
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La fase di idratazione, oltre che a facilitare la rottura dei semi e la successiva dispersione di grassi e proteine, svolge un ruolo importante nel ridurre uno degli effetti collaterali più fastidiosi dei legumi. La soia, e in particolare la pellicina dei semi, contiene due zuccheri: il raffinosio (1%), un trisaccaride, e lo stachiosio (4%), un tetrasaccaride. Nessuno di questi zuccheri è digeribile dal nostro corpo e quindi passano intatti nell’intestino dove vengono fermentati dai batteri della nostra flora intestinale producendo gas. Ecco perché a livello industriale a volte si preferisce partire da semi a cui è stata tolta la pellicina.
La mattina buttate l’acqua e sciacquate i semi, che saranno circa raddoppiati di peso.
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Aggiungete 300 g di acqua fresca e triturateli bene con un frullatore.
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Aggiungete altri 700 g di acqua. Il rapporto 1:10 tra semi e acqua è lo standard seguito anche per la successiva produzione del tofu classico.
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Filtrate il liquido con un telo per separare il residuo solido, chiamato okara.
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Fate poi bollire il liquido dolcemente per almeno 20-30 minuti. Quello che rimane è il “siero di soia” tradizionale cinese. In Giappone invece si fa bollire la poltiglia prima di filtrarla. Questo aumenta la resa ma produce molta più schiuma ed è più difficile da filtrare. Il risultato è una sospensione acquosa biancastra di proteine e minuscole goccioline di olio di soia.
La fase di ebollizione ha più di una motivazione. Per prima cosa serve a uccidere gli eventuali microrganismi che si sono sviluppati durante il periodo di idratazione dei semi. Uno dei maggiori svantaggi, dal punto di vista nutrizionale, della soia è la presenza di sostanze che impediscono la digestione delle proteine nel nostro corpo da parte della tripsina, un enzima prodotto dal pancreas. Queste molecole, chiamate “inibitori della tripsina”, non vengono distrutte dal calore, però scaldando all’ebollizione se ne può ridurre l’attività sino a un livello considerato accettabile del 5%-10%.
Da ultimo le proteine della soia vengono denaturate per facilitare la loro coagulazione nella preparazione del tofu.
Un po’ si storia
Sebbene sia un prodotto molto antico il doujiang non è mai stato un elemento predominante della cultura alimentare cinese, usato invece quasi sempre come punto di partenza nella produzione di altri prodotti come il tofu, divenuto popolare in Cina nella dinastia Song (960-1271 DC). Come già detto non è mai stato un sostituto del latte, e non è mai stata una bevanda per bambini. Oltre che per la preparazione del tofu, il doujiang poteva invece essere servito bollente come zuppa con pezzi di gamberetti, scaglie di tonno essiccato e affumicato, porri tagliati, sale spezie e altro.
La diffusione del “latte” di soia in Cina come bevanda a se stante inizia nei primi anni del ‘900. Nel 1910 un cinese che viveva in Francia, Li Yu-ying ottiene un brevetto per la produzione industriale su piccola scala, alla periferia di Parigi, il primo impianto al mondo, di questa bevanda alla soia. La bevanda però non ebbe successo. Negli anni ’20 alcuni ricercatori cominciarono a mettere in evidenza le proprietà nutrizionali di questa bevanda. Tra gli altri, negli anni ’30 in Cina un medico americano missionario avventista del settimo giorno, il Dott. Harry W. Miller, cerca di migliorare la nutrizione dei bambini cinesi usando il latte di soia. L’accoglienza non fu molto entusiastica, e l’impianto di produzione, inaugurato nel 1936, venne distrutto nel 1937 durante la guerra Cino-Giapponese.
A Hong Kong le cose andarono meglio: nel 1940 Kwee Seong Lo fonda la Hong Kong Soya Bean Products Co. Ltd. E impianta uno stabilimento di produzione. Dopo la guerra la compagnia iniziò a vendere il suo prodotto, Vitasoy®, una bevanda che cerca di fare concorrenza alle popolari bevande gassate, tanto che nel 1974 supera, almeno temporaneamente, le vendite della Coca Cola®.

Un tentativo di diffondere la bevanda sui mercati occidentali fallì, per il suo marcato gusto di legumi, che invece in Cina è considerato caratteristico e piacevole ma non è accettato in occidente e neppure in altri paesi asiatici come il Giappone o la Corea. In Giappone infatti la soia veniva soprattutto utilizzata per la produzione del tofu.
Gli occidentali istintivamente confrontano il sapore di questa bevanda, con il suo colore bianco, al latte, e quindi non ne apprezzano il sapore “naturale” di fagioli. D’altra parte la maggioranza dei cinesi ha sempre considerato intollerabile e disgustoso l’odore e il sapore “naturale” del latte.
Negli ultimi decenni sono stati quindi inventati dei processi industriali per produrre una bevanda più adatta ai gusti occidentali, che viene spesso resa più vicina al latte aggiungendo zucchero, calcio e vitamine. Paradossalmente, questo nuovo “latte di soia” ha preso piede ora anche in Cina, Giappone e Corea. A volte zuccherato, o al sapore di cioccolato, negli anni ’80 è stato protagonista di un vero e proprio boom. Ma di questo parleremo una prossima volta.
Bibliografia
Chang, S. K. (2007). Soymilk and tofu manufacturing. Handbook of Food Products Manufacturing, 1063-1089.
Chen, S. (1989). Principles of Soymilk Production. Food Uses of Whole Oil and Protein Seeds, 40-86.
Odo T. Soy (Soya) Milk. Encyclopedia of Food Science and Nutrition. Academic Press.
Dario Bressanini

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