martedì 26 gennaio 2016

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23 gennaio 2016

Colonizzare la Via Lattea: difficilissimo ma non impossibile

Viaggiare nello spazio per colonizzare altri sistemi planetari è un'idea che si ritrova spesso nella fantascienza, ma i problemi che presenta sono ardui da risolvere, e richiedono secoli di esperienze e di preparazione. E un prerequisito essenziale è la creazione di una civiltà sostenibile a lungo termine sulla Terradi Kim Stanley Robinson
L'idea che gli esseri umani un giorno viaggeranno per colonizzare altre regioni della nostra galassia è stata ben espressa dal pioniere russo dell'astronautica Konstantin Tsiolkovsky, che scrisse: "La Terra è la culla dell'umanità, ma non siamo destinati a rimanere nella culla per sempre".

Da allora, questa idea è stata un elemento fondamentale per la fantascienza e un'immagine condivisa del futuro dell'umanità. Spingersi verso le stelle è spesso considerato il destino degli esseri umani, e anche una misura del successo della nostra specie. Ma trascorso un secolo da quando fu proposta questa visione, le cose che abbiamo imparato sull'universo e su noi stessi si sono combinate per suggerire che muoversi attraverso la galassia dopo tutto potrebbe non essere il destino dell'umanità.

Il problema di fondo è la vastità dell'universo, che non era nota quando immaginammo la prima volta che saremmo andati verso le stelle. Tau Ceti, una delle stelle più vicine a noi a circa 12 anni luce di distanza, è circa 100 miliardi di volte più lontana dalla Terra della Luna. La differenza quantitativa si trasforma in una grande differenza qualitativa: non possiamo semplicemente far viaggiare delle persone su immense distanze dentro un'astronave, perché è un ambiente troppo povero per sostenere gli esseri umani per il tempo necessario, che è dell'ordine di alcuni secoli.

Invece di un'astronave, dovremmo costruire una sorta di arca per il viaggio nello spazio, abbastanza grande da sostenere una comunità di esseri umani, animali e piante in un sistema ecologico completamente rinnovabile.

Colonizzare la Via Lattea: difficilissimo ma non impossibile
Rappresentazione artistica di un pianeta extrasolare (Credit: NASA/JPL-Caltech)
D'altra parte, dovrebbe essere abbastanza piccola da riuscire a raggiungere una velocità piuttosto elevata, per ridurre i tempi di esposizione dei viaggiatori alla radiazione cosmica e la possibilità di guasti. Per alcuni versi, vale il motto “grande è meglio”, ma quanto più è grande l'arca, tanto più combustibile dovrebbe essere trasportato a bordo per rallentare una volta raggiunta la destinazione: è un circolo vizioso che non può essere evitato.

Per questo motivo, si potrebbe seguire il principio opposto, “piccolo è meglio”, ma le dimensioni limitate creano problemi al flusso di risorse metaboliche e all'equilibrio ecologico. La biogeografia delle isole terrestri illustra quali problemi potrebbero derivare da questa miniaturizzazione, ma l'isolamento di un'arca spaziale sarebbe molto più drastico di quello di qualsiasi isola sulla Terra. Se si combinano le richieste di progettazione per le grandi come per le piccole dimensioni, tuttavia, non restano molte possibilità per una nave realizzabile.

I problemi biologici che potrebbero derivare dalla radicale miniaturizzazione, dalla semplificazione e dall'isolamento di un'arca includono il possibile impatto sui nostri microbiomi.

Non siamo unità autonome: circa l'80 per cento del DNA nel nostro corpo non è umano, ma è una vasta gamma di creature più piccole. Questa pletora di esseri viventi deve funzionare in un equilibrio dinamico per mantenerci in buona salute, e l'intero sistema complesso si è coevoluto sulla superficie di questo pianeta in un particolare insieme di influenze fisiche, tra cui la gravità terrestre, il campo magnetico, la composizione chimica, l'atmosfera, l'insolazione e la carica batterica. Viaggiare verso le stelle significa allontanarsi da tutte queste influenze, cercando di sostituirle artificialmente.

Sarebbe impossibile essere sicuri in anticipo di quali siano i parametri vitali che dovrebbero essere presenti, perché la situazione è troppo complessa da modellizzare. Qualsiasi arca spaziale sarebbe quindi un esperimento, e i suoi occupanti le cavie. La prima generazione di esseri umani a bordo sarebbe costituita da volontari ma non i loro discendenti, che nascerebbero in un insieme di stanze mille miliardi di volte più piccolo della Terra, senza alcuna possibilità di fuga.

In questo ambiente radicalmente ridotto, dovrebbero essere istituite delle regole per garantire il funzionamento dell'esperimento in tutti i suoi aspetti. La riproduzione non sarebbe una libera scelta, poiché la popolazione nell'arca dovrebbe mantenersi tra un numero minimo e uno massimo. Molti lavori sarebbero obbligatori per garantire il funzionamento dell'arca, e così anche il lavoro non sarebbe scelto liberamente. Alla fine, alcune rigide limitazioni influenzerebbero la struttura sociale dell'arca per far rispettare norme e comportamenti. La situazione, in definitiva, richiederebbe la creazione di qualcosa di simile a uno stato totalitario.

Colonizzare la Via Lattea: difficilissimo ma non impossibile
Ecco come la NASA immagina la prima colonizzazione di Marte: il Pianeta Rosso appare l'obiettivo più abbordabile per la colonizzazione di un pianeta extraterrestre (Les Bossinas/NASA Lewis Research Center)
Naturalmente, sociologia e psicologia sono i campi in cui è più difficile fare previsioni, poiché gli esseri umani sono molto adattabili. Ma la storia ha dimostrato che le persone tendono a reagire male in stati e sistemi sociali rigidi. Se aggiungiamo a questi vincoli sociali rigidi una costrizione fisica permanente e l'esilio dalla superficie del pianeta su cui ci siamo evoluti, la probabilità di avere problemi di salute e di andare incontro a difficoltà psicologiche e disturbi mentali appaiono piuttosto alte. Nell'arco di più generazioni, è difficile immaginare che tale società possa rimanere stabile.

Eppure, gli esseri umani sono adattabili e ingegnosi. È concepibile che tutti i problemi delineati fin qui potranno essere risolti, e che le persone confinate in un'arca potranno attraversare con successo lo spazio per arrivare in un sistema planetario vicino. Ma se così fosse, i loro problemi sarebbero appena iniziati.

Un corpo planetario i navigatori cercassero di colonizzare potrebbe ospitare forme di vita, e il contatto con una biologia aliena potrebbe rivelarsi letale o viceversa innocuo, ma sicuramente richiederebbe un'attenta indagine. D'altra parte, se fosse privo di forme viventi, allora i nuovi arrivati dovranno terraformarlo utilizzando solo le risorse locali e l'energia che hanno portato con sé. Questo significa che il processo avrà un inizio lento, e richiederà un tempo dell'ordine di alcuni secoli, durante i quali l'arca, o il suo equivalente sul pianeta alieno, dovrebbero continuare a funzionare senza intoppi.

È anche possibile che i coloni non siano in grado di dire se il pianeta ospiti o meno forme di vita, come accade ora a noi per Marte. Dovrebbero quindi affrontare un problema in entrambi i casi, ma senza sapere quale: si tratta di una complicazione che potrebbe rallentare ulteriormente scelte e azioni.

Quindi, per concludere: un viaggio interstellare presenterebbe una serie di problemi estremamente ardui da risolvere, e l'arrivo in un altro sistema planetario un insieme di problemi diverso.

Tutti questi problemi insieme non determinano l'impossibilità assoluta di un progetto, ma la sua estrema difficoltà, con chance di successo molto esigue. Le inevitabili incertezze suggeriscono che perseguire questo progetto in modo etico richiederebbe molti prerequisiti: il primo dei quali è dimostrare la sostenibilità di una civiltà umana sulla Terra stessa, che dovrebbe insegnarci molte delle cose che avremmo bisogno di sapere per costruire un microcosmo praticabile in un'arca.

In secondo luogo, si dovrebbe accumulare molta esperienza in un'arca in orbita intorno al Sole, per poter studiare e fare pratica di riparazioni, fino alla dimostrazione che il progetto può avere successo; terzo, si dovranno effettuare estese esplorazioni robotiche dei sistemi planetari vicini, per verificare se esistano candidati idonei all'insediamento.

Se non si percorreranno tutte queste tappe, difficilmente gli esseri umani potranno viaggiare con successo nello spazio e abitare altri sistemi stellari. La stessa preparazione è di per sé un progetto che richiederà diversi secoli e che si basa essenzialmente sulla sua prima fase, ovvero la creazione di una civiltà sostenibile a lungo termine sulla Terra. Questo risultato è una precondizione necessaria, anche se non sufficiente, per il successo di qualsiasi viaggio interstellare. Se non realizziamo la sostenibilità sul nostro mondo, non ci sarà alcun Pianeta B.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 13 gennaio. Riproduzione autorizzata)

giovedì 21 gennaio 2016

da le scienze .it((La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 20 gennaio. Riproduzione autorizzata)


    21 gennaio 2016

    Una super-Terra oltre Plutone?


    Una coppia di astronomi ha trovato indizi convincenti della presenza di un pianeta finora mai rilevato che potrebbe trovarsi nella zona della fascia di Kuiper, oltre l'orbita di Plutone. Si tratterebbe di una super-Terra, chiamata per ora Planet Nine, circa dieci volte più massiccia della Terra. Per un'eventuale conferma però saranno necessari altri studi e osservazionidi Michael D. Lemonick


    Oggi un titolo come Scoperto un nuovo pianeta è eccitante quanto Cane morde uomo, vale a dire non molto. Grazie soprattutto alla missione spaziale Kepler, negli ultimi due decenni gli astronomi hanno identificato circa 2000 nuovi mondi, in orbita attorno a stelle che si trovano a decine o addirittura a centinaia di anni luce dalla Terra. Considerati tutti insieme, questi pianeti sono importanti dal punto di vista scientifico, ma sono ormai così tanti che aggiungerne uno alla lista non sembra una grande impresa. Eppure l'annuncio di un nuovo pianeta da parte dal California Institute of Technology sembra molto diverso, perché il mondo che descrive non ruota attorno a una stella lontana. Fa parte del nostro sistema solare, un posto che potreste pensare sia stato esplorato molto bene.


    Una super-Terra oltre Plutone?
    Illustrazione di Planet Nine (Cortesia Caltech/R. Hurt/IPAC)
    Evidentemente non è così: in un'analisi accettata per la pubblicazione su “Astronomical Journal", Konstantin Batygin e Mike Brown, planetologi del California Institute of Technology, presentano quella che affermano essere una forte prova circostanziale di un grande pianeta sconosciuto, forse dieci volte più massiccio della Terra, in orbita nell'oscura periferia del sistema solare oltre Plutone. Gli scienziati hanno dedotto la sua presenza da anomalie nelle orbite di una manciata di corpi più piccoli che possono vedere. “Non ero così entusiasta da un po' di tempo”, spiega Greg Laughlin, esperto di formazione e dinamica dei pianeti dell'Università della California a Santa Cruz, che non è coinvolto nella ricerca.

    L'oggetto, che i ricercatori hanno chiamato provvisoriamente "Planet Nine", si avvicina a non più di 30,5 miliardi di chilometri dal Sole, cioè cinque volte la distanza media di Plutone. Nonostante le sue enormi dimensioni, il suo effetto è così debole che non sorprende il fatto che nessuno l'avesse ancora notato.

    Se esiste, certo. "Purtroppo, non disponiamo ancora di un vero e proprio rilevamento". Ma la prova è così stringente che altri esperti stanno prendendo l'annuncio molto sul serio. "Penso che sia piuttosto convincente", spiega Chad Trujillo del Gemini Observatory, alle isole Hawaii. Anche David Nesvorny, un teorico che studia il sistema solare al Southwest Research Institute (SwRI) a Boulder, è rimasto colpito. "Questi ragazzi sono davvero bravi", ha commentato. “Hanno fatto davvero un buon lavoro”.

    Strane orbite
    Batygin e Brown non sono i primi a sostenere l'esistenza di un nuovo pianeta nel sistema solare. Nel 2014 Trujillo e Scott Sheppard, della Carnegie Institution for Science, hanno sostenuto su "Nature" che la loro scoperta di un oggetto molto più piccolo, chiamato 2012 VP113, insieme con l'esistenza di una manciata di corpi precedentemente identificati nel sistema solare esterno, suggeriva che potrebbe esserci un oggetto di dimensioni planetarie lì fuori. La prova è nascosta nelle orbite di questi oggetti, in particolare in un oscuro parametro chiamato "argomento del perielio". Gli oggetti identificati da Trujillo e Pastore avevano tutti argomenti del perielio stranamente simili, il che potrebbe significare che fossero influenzati dalla gravità di un pianeta invisibile. "Avevamo notato qualcosa di curioso: qualcuno doveva andare a fondo della questione", spiega Trujillo.

    Diversi gruppi l'hanno fatto, trovandosi d'accordo sul fatto che l'idea di un pianeta nascosto è plausibile, ma ancora abbastanza speculativa. La nuova analisi tuttavia rafforza notevolmente le ipotesi. La somiglianza degli argomenti del perielio si è rivelata "solo la punta dell'iceberg", secondo Batygin.


    Una super-Terra oltre Plutone?
    La gravità dell'ipotetico Planet Nine potrebbe spiegare le orbite peculiari di due differenti insiemi di oggetti che si trovano oltre Plutone (diagramma creato utilizzando il WorldWide Telescope. Cortesia: Caltech/R. Hurt/IPAC)
    La prima cosa che Batygin ha fatto insieme a Brown è stata analizzare i dati Trujillo e Sheppard con occhi del tutto nuovi. "Quello che abbiamo notato - afferma Batygin - è stato che gli assi maggiori delle orbite di questi oggetti rientrano nello stesso quadrante del cielo." In altre parole, puntano nella stessa direzione. Questo risultato non è scontato: due corpi possono avere argomenti di perielio simili anche se le loro orbite non sono fisicamente simili in altro modo. Ma quando Brown e Batygin hanno tracciato le orbite di questi oggetti del sistema solare esterno, hanno notato che le forme delle loro orbite molto ellittiche erano fortemente allineate. “Si potrebbe pensare: 'Ma come si fa a non accorgersi di una cosa del genere'?”, dice Brown. “Eravamo così immersi nell'analisi dei dati che non abbiamo mai fatto un passo indietro per guardare il sistema dall'esterno. Non riuscivo a credere di non averlo mai notato prima: è una cosa ridicola”.

    La direzionalità delle orbite era un indizio ancora più forte che qualcosa stava fisicamente influenzando questi oggetti distanti. "In un primo momento ci siamo detti: 'Non può esserci un pianeta laggiù, è folle'", spiega Brown. Così ha esaminato con il collega l'alternativa più probabile, e cioè che la fascia di Kuiper di oggetti ghiacciati oltre Plutone si fosse aggregata in modo naturale, proprio come le galassie si sono formate per effetto delle forze gravitazionali dalla nube cosmica di gas emersa dal big bang.

    In questo scenario, come hanno capito presto gli autori, il problema era che la fascia di Kuiper non aveva sufficiente massa per far accadere questo. Quando gli scienziati hanno avuto la folle idea della presenza di un pianeta, tuttavia, le loro simulazioni hanno prodotto proprio il giusto tipo di orbite allineate. E hanno rivelato anche altro: la gravità di un pianeta gigante dovrebbe portare a un insieme indipendente di oggetti le cui orbite non sono allineate tra loro, ma sono fortemente inclinate rispetto alle orbite dei pianeti, fino a 90 gradi rispetto al piano del sistema solare, o anche di più. "Sembrava enigmatico", dice Batygin. “Ma poi Mike disse: 'Mi sembra di aver visto qualcosa del genere nei dati'”. Quasi a colpo sicuro, i ricercatori hanno individuato una mezza dozzina circa di questi oggetti, e nessuno aveva una buona spiegazione per la loro presenza lì. La simulazione di Batygin e Brown ne stava fornendo una. "Il fatto che ora si sta mettendo ordine a due nuove linee indipendenti di prove per un ipotetico pianeta - sottolinea Laughlin - rende la loro ipotesi ancora più credibile".

    Una super-Terra
    Il pianeta che meglio si adatta ai dati sarebbe circa dieci volte più massiccio della Terra, e andrebbe catalogato nella categoria delle "super-Terre", che include molti pianeti intorno ad altre stelle, ma nessuno, finora, nel sistema solare. Sarebbe però più piccolo di Nettuno, il quarto in ordine di grandezza tra i pianeti che orbitano attorno al Sole, che è di circa 17 masse terrestri. La sua orbita più probabile è fortemente allungata, e lo porta a 35 miliardi di chilometri dal Sole nel punto di massimo avvicinamento ("che è dove fa tutto il danno," sottolinea Brown) e da tre a sei volte più lontano nel punto più distante.

    Anche a quella distanza enorme, Planet Nine potrebbe essere individuato, in linea di principio, con i telescopi esistenti, e più facilmente con il giapponese Subaru Telescope, alle Hawaii, che non solo ha un enorme specchio per catturare luce debole, ma anche un ampio campo visivo che permetterebbe ricercatori di effettuare in modo efficiente la scansione di grandi porzioni di cielo. "Purtroppo, non siamo proprietari del Subaru: per questo è improbabile che saremo noi a trovarlo. Quindi stiamo dicendo a tutti dove cercare”, dice Brown,

    Fino a quando non lo osserveranno, gli astronomi non potranno affermare in modo definitivo che Planet Nine esiste realmente. "Tendo a essere molto sospettoso sugli annunci della presenza di un pianeta in più nel sistema solare", afferma Hal Levison, ricercatore dello SwRI. "Ho visto molti di questi annunci nella mia carriera, ed erano tutti sbagliati". L'allineamento orbitale è autentico, riconosce Levison. "Qualcosa lo sta determinando: ma sono necessari ulteriori studi per capire di che cosa si tratta”.

    Nel complesso, tuttavia, gli scienziati planetari sono entusiasti dalla prospettiva di poter essere alle soglie di una grande scoperta. "Durante la mia gioventù, si pensava che i grandi pianeti fossero stati trovati tutti”, spiega Sheppard. “Sarebbe molto emozionante e sorprendente sapere che stavamo sbagliando”.

    Secondo Laughlin, lo stato d'animo della comunità astronomica potrebbe essere descritto perfettamente dal discorso che l'astronomo britannico John Herschel tenne alla British Association for the Advancement of Science il 10 settembre 1846. Alcune irregolarità rilevate nell'orbita di Urano suggerivano che fossero determinate dall gravità di un pianeta sconosciuto e massiccio. Facendo riferimento all'oggetto misterioso, Herschel disse:

    "Lo vediamo come Colombo vide l'America dalle coste della Spagna. I suoi movimenti sono stati evidenziati dalla nostra analisi con una certezza di poco inferiore alla dimostrazione visiva”. Solo due settimane più tardi fu scoperto Nettuno, proprio dove i calcoli dei teorici prevedevano che sarebbe dovuto essere.

    buona giornata al miele...

    per una giornata  vigorosa

    mercoledì 20 gennaio 2016

    da quotidiano.it libero accedi Fullscreen Gallery Cerca Libero Edicola Libero TV Libero Shopping Italia Home Libero Politica Italia Economia Esteri Spettacoli Personaggi Sport VIDEO Salute Altro #escile La sfida delle tette tra le universitarie: delirio sui social 1 di 10 Prev Next Una sfida tra studentesse: ma questa volta a colpi di tette. Impazza sui social una competizione un po' particolare che inizia da una gara fra gli Spotted (le pagine di appuntamenti al buio, ndr) delle università: dalla Bocconi alla Cattolica, dalla Statale al Politecnico fino alla Biccocca. Foto di seni e glutei con tanto di nome dell'università e hashtag "#escile". E nessuna pietà tra le colleghe, per cercare di accaparrarsi il posto migliore alcuni addirittura ricorrono al ritocco.


    #escile

    La sfida delle tette tra le universitarie: delirio sui social

    Una sfida tra studentesse: ma questa volta a colpi di tette. Impazza sui social una competizione un po' particolare che inizia da una gara fra gli Spotted (le pagine di appuntamenti al buio, ndr) delle università: dalla Bocconi alla Cattolica, dalla Statale al Politecnico fino alla Biccocca. Foto di seni e glutei con tanto di nome dell'università e hashtag "#escile". E nessuna pietà tra le colleghe, per cercare di accaparrarsi il posto migliore alcuni addirittura ricorrono al ritocco.

    giovedì 14 gennaio 2016

    da le scienze.it blog


    La redazione

    FORUM

    Lettera aperta del CICAP al Ministro Lorenzin sull'elogio all'omeopatia e il ruolo di garanzia del Ministero della Salute

    Lettera aperta del CICAP al Ministro Lorenzin

    Il CICAP diffonde oggi una lettera aperta al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin in merito alla prefazione da lei firmata per un libro favorevole all’omeopatia. Qui sotto si trova la lettera, chi lo desidera può aggiungere la propria firma a questa pagina:
    http://goo.gl/S76Nw9
    LA LETTERA:
    Il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha scritto la prefazione del libro “Elogio della omeopatia” (Cairo Editore, Milano). L’autore è Giovanni Gorga, presidente di Omeoimprese, ovvero l’associazione che raggruppa le principali aziende italiane produttrici di rimedi omeopatici. Una pubblicazione di parte, perfettamente legittima in una società pluralista. Quello che è inopportuno è che sia il Ministro della Salute, con la sua prefazione, a sostenerne indirettamente il contenuto.
    Un ministro della salute ha il dovere istituzionale di comunicare ai cittadini quale sia la posizione della comunità scientifica nei confronti delle terapie disponibili. Il Ministro Lorenzin ha adottato un comportamento ineccepibile nel caso dei vaccini, sostenendone la necessità ed evidenziando i rischi per la salute nel rifiutarli.
    L’omeopatia gode di popolarità e consenso, ma nessuno ha mai dimostrato che essa possa ottenere risultati superiori al semplice effetto placebo, cioè è priva di efficacia specifica. Autorevoli studiosi la ritengono poi tutt’altro che innocua. Il premio Nobel Rita Levi Montalcini ricordava, per esempio, che «L’omeopatia è una non-cura potenzialmente dannosa perché distrae i pazienti da terapie realmente efficaci».
    Molti studi, pubblicati anche recentemente su serie e riconosciute riviste mediche (vedi sotto alcuni dei più recenti, particolarmente severi nei confronti dell’omeopatia), confermano questa triste realtà. Diciamo “triste” perché a tutti noi farebbe piacere poter disporre di altre utili terapie da affiancare a quelle già riconosciute di provata efficacia.
    Auspichiamo pertanto che da parte del Ministero della Salute si provveda a rettificare i fraintendimenti che la prefazione del Ministro può generare, comunicando chiaramente ai cittadini ciò che le migliori ricerche svolte a livello internazionale consentono di affermare relativamente all’omeopatia.
    RIFERIMENTI
    Science and Technology Committee. House of Commons, London 2010:
    http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200910/cmselect/cmsctech/45/45.pdf
    National Health and MentalResearch Council. Information Paper: Evidence on the effectivenessof homeoathy for treating health conditions. Canberra, marzo 2015:
    https://www.nhmrc.gov.au/_files_nhmrc/publications/attachments/cam02a_information_paper.pdf
    Shang et al. Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy. Lancet. 2005 Aug 27-Sep 2;366(9487):726-32.
    Altre fonti si possono ricavare da:
    Silvio Garattini, “Acqua fresca. Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia”, Sironi Editore, 2015.
    Simon Singh e Edzard Ernst, “Aghi, pozioni e massaggi. La verità sulla medicina alternativa”, Rizzoli, 2008.
    PRIMI FIRMATARI
    CICAP – Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze
    Sergio Della Sala, Presidente CICAP, Neuroscientist, University of Edinburgh, UK.
    Silvio Garattini, Garante scientifico CICAP, Farmacologo, direttore Istituto di ricerche Mario Negri, Milano.
    Edoardo Boncinelli, Garante scientifico CICAP, Genetista, Università Vita-Salute, Milano.
    Lorenzo Montali, Vicepresidente CICAP, psicologo, Università di Milano-Bicocca.
    Massimo Polidoro, Segretario nazionale CICAP, Giornalista e scrittore.
    Marino Franzosi, Tesoriere CICAP, Responsabile Amministrativo.
    Andrea Ferrero, Responsabile Formazione CICAP, Ingegnere, Torino.
    Stefano Bagnasco, Sperimentazioni CICAP, Fisico, INFN, Torino.
    Marco Ciardi, Storico della scienza, Università di Bologna.
    Paola De Gobbi, Organizzazione CICAP, redattrice.
    Silvano Fuso, Docente di chimica, Responsabile Scuola CICAP.
    Luigi Garlaschelli, Chimico, Università di Pavia, Responsabile Sperimentazioni CICAP.
    Francesco Grassi, Ingegnere, Gruppo Sperimentazioni CICAP.
    Beatrice Mautino, Biotecnologia e divulgatrice scientifica.
    Marco Morocutti, Progettista elettronico, Gruppo Sperimentazioni CICAP.
    Marta Annunziata, Biotecnologa, Coordinatrice dei Gruppi Locali CICAP.
    AIRicerca – Associazione internazionale dei ricercatori italiani nel mondo
    Luca Cassetta, Presidente di AIRicerca, Immunologo Phd, UK.
    Guido Silvestri, Professor & Vice-Chair for Research Department of Pathology and Laboratory Medicine Emory University School of Medicine; Chief, Division of Microbiology & Immunology Yerkes National Primate Research Center, Atlanta (USA).
    Fabrizio Doricchi, Neuropsicologo, Università La Sapienza, Roma.
    Paolo Bartolomeo, Neuroscienziato, Hôpital Pitié-Salpêtrière, Parigi.
    Miriam Brazzelli, Senior Researcher in Public Health, University of Aberdeen, UK.
    Giovanni Ragazzini, Medico pediatra, Alassio.
    Stefano Cappa, Neurologo, IUSS – Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia.
    Vittorio Carreri, Medico-chirurgo, specialista in Igiene (già responsabile del Servizio di Igiene e Sanità Pubblica della Regione Lombardia), Milano.
    Francesco Battaglia, Professore associato di chimica-fisica, Università degli Studi di Modena-Reggio Emilia.
    Salvo Di Grazia, Medico, divulgatore scientifico.
    Giorgio Dobrilla, Gastroenterologo, divulgatore scientifico.
    Giorgio Verme, Primario emerito di gastroenterologia, Ospedale Molinette, Torino.
    Galeazzo Sciarretta, Presidente emerito dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona.

    mercoledì 13 gennaio 2016

    vino e dintorni-articolo di dario bresssanini da le scienze .it


    Ma il vino biodinamico è buono?

    È giunto il momento di tirare le somme sull'argomento Biodinamica, con qualche considerazione finale, dopo aver parlato prima di Steiner e poi descritto un esperimento controllato sull'effetto (inesistente) dei preparati biodinamici nella produzione di un vino Merlot. Prima però vorrei segnalare questo articolo della rivista Query, che racconta come la Regione Piemonte contribuisca a finanziare dei corsi di biodinamica. Lo segnalo anche perché nella piccata risposta di Agri Bio Piemonte mi citano come quel "tal Signor Dario Bressanini. A mio modesto avviso non mi sembra che possa essere considerato il Maestro dei Maestri. Mi sembra, ma posso sbagliare, che esprima solo preconcetti e non conosca affatto la materia." Evidentemente non è piaciuta la mia conferenza ;)  .
    Questo è un atteggiamento tipico delle pseudoscienze: l'idea che se non "sei dentro", se non hai "assorbito le conoscenze fondamentali" non puoi "capire". L'idea che uno possa allegramente impipparsene della paccottiglia esoterica, fare un esperimento e giudicare i risultati non sembra fare breccia nella mente di molti.
    Influssi celesti
    calendario-delle-semine-2013-libro-1Gli scritti di Steiner e dei suoi seguaci, come Maria Thun, sono pieni di riferimenti ai «cicli astrali», ai pianeti e alle fasi della luna. Mentre l’uso dei preparati è obbligatorio, tutta la paccottiglia astrologica che spesso riempie la pubblicistica del settore non influisce sulla certificazione biodinamica. Quindi ai fini strettamente pratici l’agricoltura biodinamica, filtrata dagli aspetti mistici e astrologici, è sostanzialmente una agricoltura biologica con in più l’uso obbligatorio dei vari preparati. Non è dato sapere quanti produttori seguano il calendario astrale di Maria Thun o le indicazioni sulle fasi lunari e l’allineamento dei pianeti ma, data l’abbondanza di materiale su questi argomenti, ho l’impressione che almeno alcuni ci credano veramente.
    L’obiezione tipica di chi crede negli influssi celesti è questa: «La luna ha un’enorme influenza: guarda le maree!». Certamente, ma questo effetto ben noto è dovuto esclusivamente alla forza di gravità e quindi spiegabilissimo. Ci sono due maree al giorno, che la luna sia piena o nuova. Quando il sole, la terra e la luna sono allineati, la marea è massima. È possibile calcolare con precisione l’effetto della gravità su mari e oceani e stimare l’altezza delle maree. Se però proviamo a calcolare tale effetto su una piantina, o su un grappolo d’uva, scopriamo che è praticamente nullo, com'è noto da secoli. È per questo che quasi non esistono studi scientifici rigorosi sui presunti effetti degli astri sulle coltivazioni biodinamiche, o su qualsiasi altro aspetto della vita. Ormai non c’è più bisogno di ricerche per dimostrare che la posizione dei pianeti non ha alcun tipo di influenza sulle attività umane o naturali. In più, nessuno scienziato serio vorrebbe rischiare di perdere la faccia chiedendo fondi per uno studio come questo.
    E non dimentichiamoci che l’onere della prova spetta a chi sostiene la verità di un fatto. Non sta agli scienziati dimostrare che il calendario astrologico non funziona, o che non esistono gli unicorni blu, ma ai suoi fautori dimostrare che il calendario funziona e che gli unicorni blu esistono. Nonostante questo, qualche sparuto ricercatore ha provato a studiarne l’influenza sulle colture biodinamiche. Da una ricerca sulla coltivazione del peperoncino è emerso che l’applicazione dei preparati secondo il calendario biodinamico non aveva avuto alcun effetto rispetto alle colture in cui non era stato seguito.[i] Il che, ovviamente, non ha stupito nessuno.
    Pesticidi naturali e non di sintesi?
    Nell’agricoltura biologica, e quindi in quella biodinamica, si può utilizzare solo un numero ristretto di pesticidi contro i parassiti e le malattie delle piante, il che esclude la gran parte dei principi attivi che oggi l’agricoltore moderno ha a disposizione.[ii] A volte si dice impropriamente che questo tipo di agricoltura non utilizza «sostanze chimiche di sintesi». Qualcuno potrebbe far pensare che si ricorra a qualcosa che è disponibile in natura, raccolto tal quale e pronto all’uso. In realtà non è proprio così.
    Tra le sostanze utilizzate dall’agricoltura biologica e biodinamica, oltre che da quella convenzionale, ci sono i composti del rame (l’idrossido, il solfato, l’ossicloruro e così via). Impiegato come fungicida, per esempio contro la peronospora della vite, il rame è un metallo tossico i cui composti purtroppo si accumulano anno dopo anno nel terreno. Nello Champagne, in Francia, il suolo di alcune vigne è contaminato dalla poltiglia bordolese (solfato di rame e calce), usata da oltre un secolo per combattere la peronospora. Si tratta di «pesticidi non di sintesi»? Non direi. Queste sostanze sono prodotti industriali che derivano dai minerali di rame estratti dalle miniere di tutto il mondo.
    sulphurPoi c’è lo zolfo, usato per combattere l’oidio, un fungo che colpisce le viti e altri vegetali. Oggi si ottiene praticamente ovunque come sottoprodotto della lavorazione del gas o della raffinazione del petrolio. Spero proprio che nessuno rimpianga l’uso dello zolfo «naturale», cioè di miniera, perché i minatori non se la passavano tanto bene.
    Altre sostanze utilizzate in agricoltura biologica e biodinamica sono gli «oli minerali», una miscela di idrocarburi in prevalenza saturi ottenuti dalla raffinazione del petrolio. Per ridurre il numero di composti insaturi, tossici per le piante, si tratta il prodotto raffinato con acido solforico. Insomma, sono sostanze chimiche derivanti da processi industriali tanto quanto altri prodotti fitosanitari  proibiti dall’agricoltura biodinamica (e magari meno tossici dei composti del rame).
    Ma alla fine il vino biodinamico è buono?
    romaneeA detta degli esperti, alcune case di produzione internazionali di vini di qualità sono passate alla biodinamica. C’è chi lo considera un argomento a favore: «Nella lista dei 100 migliori vini al mondo molti sono biodinamici, quindi la biodinamica funziona». Il ragionamento è ovviamente fallace. Per rimarcare che la presenza nell’una o nell’altra classifica non dimostra alcunché basterebbe chiedersi: «Quanti vini biodinamici ci sono tra i 100 peggiori al mondo?». Dal punto di vista logico è come dire: «Nella classifica dei 100 migliori vini al mondo ce ne sono alcuni la cui uva è stata raccolta da un uomo con il cappello rosso, quindi la cappellorossodinamica funziona». Così è forse più facile capire quanto questo tipo di ragionamento sia sballato.
    Lo ripeto perché è un punto importante, che a volte non viene colto immediatamente (specialmente dagli appassionati di vino che apprezzano alcuni vini biodinamici): il fatto che esistano ottimi vini biodinamici non dimostra affatto che il merito sia dei preparati biodinamici. Una domanda più sensata è invece chiedersi quanti vini non biodinamici mediocri sono diventati eccellenti dopo il passaggio a queste pratiche. Ma a dire il vero neanche questa domanda, di cui non conosco la risposta, servirebbe a dirimere la questione. Poiché la biodinamica, a parte gli aspetti astrologici su cui non vale la pena di spendere tempo vista la palese infondatezza, è sostanzialmente una agricoltura biologica con aggiunto l’obbligo di utilizzo dei vari preparati, l’unica cosa sensata da fare è mettere a confronto un prodotto da agricoltura biologica con uno da agricoltura biodinamica, per capire se i preparati fanno la differenza.
    Quando uno scienziato si mette ad investigare con metodo scientifico gli effetti di una pratica, come in questo caso, vuole prima di tutto capire se c’è un rapporto di causa ed effetto. L’uso dei preparati 500 e 501 porta a uve e vini migliori? Se la risposta, come sembra, è che questi preparati sono irrilevanti, questo non significa che i vini in questione siano cattivi. Significa che tra i due fatti non c’è relazione, e se il vino è buono, o cattivo, dipende da altri fattori e non dall’uso di uve certificate biodinamiche.
    Gli amici esperti mi dicono che i vini biodinamici di Nicolas Joly, Romanée Conti e altri produttori sono straordinari. Non ho alcuna difficoltà a crederlo, ma non c’è alcuna prova che la loro qualità sia dovuta all’uso del cornoletame, del cornosilice o della camomilla fermentata nella vescica del cervo in contatto astrale con le forze cosmiche dell’universo. Credo sia dovuto soprattutto alle pratiche in vigna di questi produttori, al loro grande coinvolgimento e all’estrema attenzione al prodotto. Oltre, ovviamente, alla particolare vocazione del territorio in cui si trovano a lavorare.
    Metodi da pseudoscienza
    crystallizazionVisto che, secondo Steiner, una forza vitale pervade gli organismi viventi, nel 1930 un suo allievo, Ehrenfried Pfeiffer, si è inventato una tecnica, che ha chiamato "cristallizzazione sensibile" che dovrebbe rivelare le differenti “energie” in organismi diversi. Si mescola del cloruro di rame con il materiale organico, per esempio la polpa di pomodoro, si deposita la soluzione in un piattino e la si lascia evaporare. Pian piano il cloruro di rame cristallizza, formando dei disegni che, secondo Pfeiffer, dovrebbero rivelare informazioni sulla natura del materiale disperso nel cloruro di rame e sulla sua «vitalità», qualsiasi cosa voglia dire. Anche la tecnica della «dinamolisi capillare», su cui non mi addentro, dovrebbe fornire informazioni simili. L’uso di termini e pratiche scientifiche da laboratorio (cristallizzazione, cloruro di rame, capillarità,…) non deve trarre in inganno: a parte la scenografia, non è molto diverso dalla lettura dei fondi di caffè o delle foglie del tè. Anche lì c’è chi ci crede. Ma è pseudoscienza, non scienza.
    FAQ
    D: Se chi produce vuole seguire quelle prescrizioni esoteriche, che evidentemente non sono dannose per i prodotti, che male c’è?
    R: Non c’è ovviamente nulla contro la persona che “ha fede”, ma io credo che la scienza, e gli scienziati, abbiano il diritto di spiegare cosa è dimostrato e distinguerlo da ciò che non lo è, anche se a volte parlano al vento. Hanno il diritto, ma oserei dire anche il dovere, di mettere in evidenza la superstizione dalla realtà. Se qualcuno si sente offeso perché si dice chiaramente che crede in cose che non hanno senso è un problema suo. Credo sia un dovere sociale che gli scienziati escano ogni tanto dai loro laboratori e cerchino di combattere tutti gli atteggiamenti antiscientifici che proliferano nella nostra società moderna, dall’astrologia all’omeopatia, dalle diete assurde basate sui gruppi sanguigni o sulla presunta alcalinità degli alimenti a tutte le varie pseudoscienze.
    D: Ma tu sei un razionalista!
    R: Certamente. Razionalista militante. E pure orgogliosamente riduzionista.
    D: Perché prendi in giro Steiner e color che credono nella biodinamica?
    R: Io non prendo in giro nessuno. Io riporto quello che ha scritto Steiner e lo confronto con i fatti. Non sono mica io quello che ha detto che si deve scuoiare un topo, bruciarne la pelle e spargerla per i campi. O che le corna del cervo comunicano con le energie cosmiche. E se uno "dinamizza" il letame ruotandolo per mezz'ora in senso orario e poi per mezz'ora in senso antiorario, beh, si deve aspettare qualche frecciatina ;)
    D: Ho comprato un vino biodinamico. Era buono assai. Quindi evidentemente la biodinamica funziona!
    R: No. Non basta prendere una bottiglia di vino biodinamico e apprezzarla per dire che “funziona”. E non è neanche sufficiente prendere due bottiglie, una biodinamica e l’altra no, e confrontarle. Anche se avessimo la cura di prendere vini da due aziende vinicole confinanti, in modo da avere presumibilmente lo stesso suolo e le stesse condizioni climatiche, la qualità finale del vino è influenzata da moltissimi altri fattori, dai metodi di gestione della vigna alle pratiche che si effettuano in cantina, dal tipo di materiali usati per far invecchiare il vino e così via. L’unico modo per fare un confronto è un esperimento rigidamente controllato come descritto nello scorso articolo.
    D: Sappiamo bene che ci sono molte cose che la scienza non riesce a spiegare
    A: Certamente, la scienza ancora non riesce a dare una spiegazione di molti fatti sperimentali. Ma prima di perdere tempo nel tentativo di cercare una spiegazione ad un fatto, è necessario che l’esistenza del fatto stesso sia ben confermata. Per intenderci, non inizio a costruire teorie scientifiche su come le renne di Babbo Natale riescano a volare prima di determinare se effettivamente Babbo Natale esiste davvero e che usi delle renne.
    D: Mi vuoi forse dire che uno non ha il diritto di credere in ciò che vuole?
    A: Puoi credere in quello che vuoi, certamente. C’è chi crede a tutta una serie di cose non dimostrate. Basta considerare una qualsiasi religione e se ne trovano moltissime, ovviamente, di "espressioni di fede". Tuttavia, così come c’è libertà di fede, esiste anche la libertà di critica, specialmente quando si vogliono far passare per “scientifiche” certe pratiche che proprio non lo sono. Diciamo che gli scienziati sono punti sul vivo quando invadi il loro terreno con un linguaggio pseudoscientifico, e reagiscono di conseguenza.
    D: Il metodo scientifico non è l’unica maniera di indagine
    A: Il metodo scientifico serve per ridurre al minimo, e se possibile eliminare, la possibilità di arrivare a conclusioni errate nell’osservazione di un fenomeno, eliminando le possibilità che il giudizio finale venga alterato da fattori estranei (ad esempio le convinzioni personali) al fenomeno che si desidera studiare. Nel far ciò è essenziale che il design dello studio sperimentale sia fatto a dovere. È per questo motivo che racconti aneddotici  (vedi alla voce "mio cugino...") non sono accettati. Nonostante tutte le precauzioni ogni tanto vengono pubblicati articoli sbagliati e che giungono a conclusioni errate. Può essere dovuto ad un cattivo design dell’esperimento o a una interpretazione statistica sbagliata dei risultati, alla mala fede o altro. Sta alla comunità scientifica, dopo la pubblicazione, criticare la metodologia con cui è stato effettuato lo studio.
    Chi sostiene che il metodo scientifico non funziona solitamente non lo capisce e non ha mai proposto nulla di altrettanto valido.
    D: È fastidioso che gli scienziati vogliano spiegare tutto.
    R: Non tutto. Solo quello che è in linea di principio spiegabile in termini scientifici, almeno con le conoscenze attuali. Non si capisce perché se un prete parla di genetica e un filosofo di agricoltura nessuno si scandalizzi, mentre se ne parlano gli scienziati (che forse, forse, sono un po’ più titolati a parlarne) si accusi la scienza e gli scienziati di "arrogante scientismo".
    D: È indubbio che gli astri influenzino la vita sulla terra. Non è forse la forza della luna che muove le maree? E l’energia del sole che ci riscalda?
    A: indubbiamente. Ma quelle sono forze ed energie ben note e studiate. Completamente comprese dalla scienza. Allo stesso modo con cui calcoliamo e prevediamo le maree, basandosi sulla forza di gravità, possiamo prevedere che l’influenza degli altri pianeti è praticamente nulla, per non parlare delle costellazioni.
    Tirando le somme
    Perché queste pratiche hanno seguito? Forse il motivo è da ricercare nel bisogno dell’uomo occidentale, in questo momento storico, di riscoprire una dimensione spirituale. Molto più banalmente, queste pratiche possono essere usate come segno di distinzione commerciale. In un mercato sempre più affollato di proposte, è importante trovare dei modi per caratterizzare un prodotto e distinguerlo dagli altri, vendendo al contempo anche emozioni. E il vino è il prodotto perfetto per vendere emozioni spirituali.
    Dario Bressanini
    P.S. sempre in tema pseudoscienze volevo segnalare agli interessati che il 14 Marzo parteciperò ad una cena organizzata dal CICAP a Stupinigi (TO). I dettagli (che ancora non conosco) li troverete sulla pagina che ho linkato.

    [i] Jayasree, P., and Annamma George. "Do biodynamic practices influence yield, quality, and economics of cultivation of chilli (Capsicum annuum L.)?." Journal of Tropical Agriculture 44, no. 1-2 (2006): 68-70. [ii] http://www.cra-pav.it/bancadatibiologica...

    mercoledì 6 gennaio 2016

    un giorno in pinacoteca .da trippinart

    Collocata nel cuore di Milano, la Pinacoteca di Brera è uno dei musei più importanti d’Italia. Al suo interno si possono ammirare capolavori d’arte antica e moderna provenienti da tutte le regioni italiane. In più, due sale ospitano importanti opere del Novecento.


    Pinacoteca di Brera
    Pinacoteca di Brera
    Il motto più giusto per approcciarsi alla Pinacoteca di Brera è sicuramente: una volta non basta. Le opere della collezione del museo milanese sono molte e importanti. E’ naturale quindi che richiedano più di una visita per poterne godere al meglio.
    Sala dopo sala si è sopraffatti dalla quantità di capolavori – spesso di grandi dimensioni – che si offrono ai nostri occhi. Quindi il consiglio è quello di concentrarsi ogni volta su un tema, una sala o una corrente in particolare. Altrimenti con una sola visita il rischio è quello di uscirne storditi.
    La particolarità. La Pinacoteca di Brera si differenzia dalla maggior parte dei grandi musei italiani perché non nasce dal collezionismo privato di principi e aristocrazia, ma è frutto del collezionismo politico e di Stato.
    Cosa vuol dire? Significa che in età Napoleonica nelle sale di Brera hanno trovato casa opere di tutto il territorio del Regno Italico, frutto di conquiste, requisizioni, acquisizioni e donazioni.
    Giovanni Bellini - Pietà (1465)
    Giovanni Bellini – Pietà (1465)
    Le opere simbolo.  Come accade a tutti i musei, anche l’immagine della Pinacoteca di Brera è associata ad alcuni capolavori in particolare. L’istituzione milanese ospita infatti il Cristo morto di Andrea Mantegna e la Pietà di Giovanni Bellini, opere dei cognati più famosi della storia dell’arte. I due dipinti sono protagonisti di un recente allestimento, pensato e realizzato dal grande regista Ermanno Olmi. L’obiettivo: valorizzare al meglio due capolavori già circondati da tanta bellezza.
    Il museo è anche la casa della celebre Pala Montefeltro (o Pala di Brera), di Piero della Francesca, dello Sposalizio della Vergine, di Raffaello, e della Cena in Emmaus di Caravaggio. Senza dimenticare, ovviamente, che è qui che risiede il Bacio di Francesco Hayez.
    I gioielli da scoprire. Oltre ai capolavori-simbolo, la collezione della Pinacoteca di Brera raccoglie numerosi dipinti di inestimabile qualità. Abbiamo creato una playlist, scegliendo un’opera per ogni secolo.
    Trecento – Ambriogio Lorenzetti, Madonna col Bambino (1320-30)
    Quattrocento – Ercole de’ Roberti, Pala di Santa Maria in Porto (1479-1481)
    Cinquecento – Tintoretto, Ritrovamento del corpo di San Paolo (1562-1566)
    Seicento – Jusepe de Ribera, San Gerolamo in meditazione (1634)
    Settecento – Francesco Guardi, Veduta del Canal Grande verso Rialto (1765)
    Ottocento – Giovanni Segantini, Pascoli di Primavera (1896)
    Novecento – Umberto Boccioni, Rissa in galleria (1910)
    Ma questa è solo la nostra selezione, ognuno può stilare la propria playlist artistica. E quest’ultima può cambiare in qualsiasi momento, perché molto dipende dall’umore, lo stato d’animo e la sensibilità con cui vi ponete di volta in volta davanti a un’opera d’arte.
    di Simone Pazzano
    Boccioni - Rissa in Galleria
    Umberto Boccioni – Rissa in Galleria
    Pinacoteca di Brera
    via Brera, 28 – Milano
    tel. 02 722 63 264 – 229
    fax: 02 720 011 40
    e-mail: sbsae-mi.brera@beniculturali.it
    web: www.brera.beniculturali.it
    Orari:
    8.30-19.15 dal martedì alla domenica (la biglietteria chiude alle 18.40)
    Giorni di chiusura: tutti i lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre
    Biglietto:
    € 10,00 Intero
    € 7,00 Ridotto