mercoledì 30 dicembre 2015

da le scienze.it -alieni nuove rivelazioni


29 dicembre 2015

Alla ricerca di molecole aliene

Gli scienziati stanno scoprendo nello spazio composti che non sono possibili sulla Terra, e che rivelano strutture atomiche sorprendenti e condividono la carica tra gli atomi in modi imprevisti. Questi risultati, oltre ad ampliare le nostre conoscenze chimiche di base, potrebbero aiutarci a rispondere alle domande fondamentali sull'origine della vitadi Clara Moskowitz
Qualcosa di strano si nascondeva nella Testa di Cavallo. La nebulosa, chiamata così per il suo profilo simile a quello di uno stallone, è una nuvola di polvere e gas distante 1500 anni luce dalla Terra dove nuove stelle nascono di continuo. È uno degli oggetti celesti più riconoscibili, e gli scienziati l'hanno studiato in modo approfondito. Nel 2011 gli astronomi dell'Institute of Millimeter Radioastronomy (IRAM), insieme con altri colleghi, l'hanno analizzata di nuovo. Con il telescopio da 30 metri dell'IRAM, nella Sierra Nevada spagnola, si sono concentrati su due porzioni della criniera del cavallo per rilevarne la radiazione elettromagnetica nello spettro delle onde radio. Non erano interessati a ottenere nuove immagini della Testa di Cavallo. Volevano ottenere gli spettri, cioè letture della luce scomposta nelle diverse lunghezze d'onda, che rivelano la composizione chimica della nebulosa. Visualizzati su un computer, i dati sembravano segnali sullo schermo di un dispositivo che monitora i battiti cardiaci; ogni picco dello spettro indicava che qualche molecola nella nebulosa aveva emesso luce di una particolare lunghezza d'onda.

Ogni molecola nell'universo produce il proprio spettro caratteristico in base all'orientamento dei protoni, neutroni ed elettroni al suo interno. La maggior parte degli spettri della Testa di Cavallo erano facilmente attribuibili a composti chimici comuni, come monossido di carbonio, formaldeide e carbonio neutro. Ma c'era anche una piccola linea non identificata a 89,957 gigahertz. Era un mistero, perché la molecola corrispondente era sconosciuta.

Alla ricerca di molecole aliene
Una suggestiva immagine della Nebulosa Testa di Cavallo (Cortesia NASA/Hubble)
Subito dopo aver visto i dati, Evelyne Roueff dell'Observatoire de Paris, e altri chimici del gruppo hanno iniziato a fare ipotesi su quale tipo di molecola potesse creare quel segnale, concludendo che doveva trattarsi di una molecola i cui atomi sono disposti in una catena lineare. Solo un certo tipo di molecola lineare poteva produrre lo spettro osservato. Lavorando su una lista di molecole probabili, sono arrivati a C3H+, o propynylidynium. Questo ione molecolare non è mai stato osservato prima. In effetti non c'era alcuna prova che potesse esistere. Se si potesse formare, sarebbe altamente instabile: sulla Terra, reagirebbe quasi istantaneamente con qualcos'altro per trasformarsi in specie più stabili. Ma nello spazio, dove la pressione è bassa e le molecole si scontrano raramente tra loro in modo da potersi legare, C3H+ potrebbe essere in grado di sopravvivere.

Roueff e colleghi hanno cercato di capire se la Nebulosa Testa di Cavallo contenesse ingredienti e condizioni giusti per formare la molecola. In un articolo pubblicato nel 2012 su "Astronomy & Astrophysics", hanno concluso che lo spettro osservato apparteneva probabilmente a C3H+. "Ero abbastanza sicura", dice Roueff. "Ma ci sono voluti due o tre anni per convincere tutti della correttezza delle nostra conclusioni".

In un primo momento, alcuni scettici hanno contestato l'annuncio: se C3H+ non era mai stato visto prima, come potevano essere sicuri che fosse vero? La scoperta decisiva è avvenuta l'anno scorso, quando ricercatori dell'Università di Colonia sono riusciti a creare C3H+ per breve tempo in laboratorio.

Non solo il risultato ha dimostrato che la molecola può esistere, ma ha anche permesso agli scienziati di misurare lo spettro che produce quando viene eccitata, lo stesso spettro scoperto nella Testa di Cavallo. "È gratificante scoprire una nuova molecola a cui non si è mai pensato prima", dice Roueff. "Quando si è in grado di identificarla solo con un ragionamento logico, è un po' come essere un investigatore".

Alla ricerca di molecole aliene
Osservando la Nebulosa Testa di Cavallo con un radiotelescopio in Spagna, alcuni ricercatori hanno rilevato la firma chimica di una misteriosa molecola. Il telescopio ha prodotto un profilo spettroscopico, cioè un grafico che mostra l'intensità della luce proveniente dalla nebulosa in un intervallo di lunghezze d'onda. Un brusco aumento di intensità, come nel grafico in alto a destra, indica la presenza di una molecola specifica, le cui proprietà chimiche permettono di emettere quella particolare lunghezza d'onda della luce. Grazie a una serie di deduzioni, i ricercatori hanno stabilito che questa linea caratteristica finora non identificata proviene dalla molecola C3H+, che esiste solo nello spazio. (Cortesia Scientific American)
Una molecola aliena è stata scoperta, dunque. Ma altre potrebbero seguire, perché la Nebulosa Testa di Cavallo non è qualcosa di bizzarro. Ovunque guardino nell'universo, gli astronomi rilevano righe spettrali non identificate. I composti familiari a noi esseri umani, le specie responsabili della grande diversità di materiali su questo pianeta, sono solo una frazione di quelli che la natura ha creato. E finalmente, dopo decenni di lavoro per sviluppare modelli teorici e tecniche di simulazione al computer, insieme a esperimenti di laboratorio con cui riprodurre nuove molecole, gli astrochimici stanno dando un nome a molte di quelle linee non identificate.

Spazio vuoto
Fino agli anni sessanta, la maggior parte degli scienziati dubitava del fatto stesso che nello spazio interstellare potessero esistere molecole: si riteneva che la radiazione fosse troppo intensa per la sopravvivenza di qualsiasi cosa oltre agli atomi e semplici radicali liberi. Nel 1968, il fisico e premio Nobel Charles Townes dell'Università della California a Berkeley, morto all'inizio di quest'anno, decise comunque di cercare molecole nello spazio.

"Avevo la sensazione che la maggior parte degli astronomi di Berkeley pensasse che la mia idea fosse un po' strampalata", ha ricordato Townes nel 2006 in una relazione per l'Astronomical Society of the Pacific. Ma andò avanti, costruendo un nuovo amplificatore per l'antenna da sei metri dell'Hat Creek Radio Observatory, in California, che rivelò la presenza di ammoniaca nella nube Sagittario B2. "Fu facile e anche emozionante", ha scritto Townes. "Mezzi di informazione e scienziati iniziarono a chiamarci".

Da allora, gli astronomi hanno scoperto più di 200 tipi di molecole che fluttuano nello spazio. Molte sono assai diverse dalle specie osservate sulla Terra.

"Di solito, facciamo chimica basata sulle condizioni che abbiamo sulla Terra", spiega Ryan Fortenberry, astrochimico della Georgia Southern University. "Quando ci allontaniamo da questo paradigma, le sostanze che si possono produrre sono senza limiti. Se riesci a sognare una molecola, non importa quanto sia bizzarra, c'è una probabilità finita che, nel corso degli eoni di tempo, nell'immensità dello spazio, sia esistita da qualche parte".

Lo spazio è letteralmente un ambiente alieno. Le temperature possono essere molto, molto più alte che sulla Terra (come avviene nell'atmosfera di una stella) oppure molto, molto più basse (nello spazio interstellare relativamente vuoto). Analogamente, le pressioni (estremamente alte o basse) sono assai lontane da quelle terrestri. Di conseguenza, nello spazio si possono formare molecole che non sarebbero mai emerse sul nostro pianeta, e possono sopravvivere per un po' di tempo, anche se sono altamente reattive.

"Possono passare anni e anni prima che una molecola possa collidere con un'altra nello spazio interstellare", spiega Timothy Lee, astrofisico dell'Ames Research Center della NASA. "Potrebbe essere in una regione in cui non c'è radiazione, e quindi sopravvivere per lungo tempo, anche se non è stabile".

Alla ricerca di molecole aliene
La nube molecolare Sagittario B2, in cui nel 1968 è stata scoperta l'ammoniaca (Cortesia ESO)
Queste molecole spaziali, una volta identificate, possono insegnarci molto. Alcune potrebbero rivelarsi utili, se gli scienziati potessero sintetizzarle laboratorio per capire come sfruttarne le proprietà. Altre molecole possono contribuire a spiegare le origini dei composti organici che hanno dato origine alla vita sulla Terra. E tutte permettono di ampliare i limiti del possibile per la chimica nell'universo.

Telescopi che cambiano la prospettiva
Negli ultimi dieci anni, via via che si sono resi disponibili nuovi e potenti telescopi, in grado di osservare le linee spettrali più deboli, la ricerca di molecole aliene ha sperimentato un'accelerazione.

"È periodo d'oro per l'astrochimica", dice Susanna Widicus Weaver che guida un gruppo di astrochimici dell'Emory University. I dati ora disponibili, dice, sono un enorme miglioramento rispetto a solo una decina di anni fa, quando ha completato il dottorato. Lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA) della NASA, montato su un Boeing 747SP, ha iniziato a osservare nello spettro infrarosso e nelle microonde nel 2010, l'Herschel Space Observatory dell'Agenzia spaziale europea è stato lanciato in orbita nel 2009 per osservare le stesse lunghezze d'onda.

Lo strumento che però ha cambiato le carte in tavola è l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), una costellazione di 66 antenne radio inaugurata nel 2013 nel deserto di Atacama, in Cile, sull'altopiano di Chajnantor. A circa 5.200 metri sul livello del mare, le antenne di ALMA ruotano in modo sincronizzato via via che i ricercatori registrano la luce proveniente dagli oggetti cosmici.

Questo è il luogo più arido del mondo: i cieli notturni sono molto scuri e l'aria è cristallina per la mancanza di umidità, il che permette di catturare la radiazione senza disturbi, conferendo al telescopio una sensibilità e una precisione senza precedenti nelle lunghezze d'onda dall'infrarosso allo spettro radio. Per ogni pixel delle sue foto, ALMA crea sia un'immagine visiva sia uno spettro, producendo così decine di migliaia di profili spettrali in ogni campo di vista osservato.

"È un lavoro meraviglioso e schiacciante allo stesso tempo", spiega Widicus Weaver. "Questi gruppi di dati sono così grandi che spesso occorre inviarli ai ricercatori su dispositivi rigidi di memoria perché non si riescono a scaricare". Il flusso di dati fornisce una vasta gamma di nuove linee spettrali che possono essere analizzate dagli astrochimici. Ma queste linee sono inutili per gli scienziati, a meno che non sia possibile determinare quali molecole li hanno prodotti, un po' come avviene con le impronte digitali non identificate sulla scena di un crimine.

Trovare un collegamento
Per abbinare molecole a queste linee, gli scienziati hanno poche opzioni. Come nel caso di C3H+, gli astrochimici potrebbero iniziare dalla teoria, usando le indicazioni ottenute dallo spettro per fare ipotesi su quale molecola possa esserci dietro. Una tecnica chiamata chimica quantistica ab initio (ab initio in latino significa "dall'inizio") permette agli scienziati di iniziare dalla pura meccanica quantistica, la teoria che descrive il comportamento delle particelle subatomiche, per calcolare le proprietà di una molecola in base ai movimenti di protoni, neutroni ed elettroni negli atomi che la compongono. Con un supercomputer, gli scienziati possono effettuare simulazioni ripetute di una molecola, variando finemente struttura e disposizione delle sue particelle, e analizzare i risultati per trovare la geometria ottimale di un composto. "Con la chimica quantistica non siamo limitati da quello che possiamo sintetizzare, ma solo dalle dimensioni delle molecole: abbiamo bisogno di grande potenza di calcolo", sottolinea Fortenberry.

Alla ricerca di molecole aliene
La schiera di radiotelescopi di ALMA, nel deserto di Atacama, in Cile (Cortesia NRAO)
I ricercatori possono anche cercare le prove concrete di nuove molecole sintetizzandole in laboratorio e misurandone direttamente le caratteristiche spettrali. Una tecnica comune è iniziare con un contenitore riempito di gas, al cui interno è fatta passare una corrente elettrica. Un elettrone nella corrente potrebbe collidere con una molecola di gas e rompere il suo legame chimico, dando origine a qualcosa di nuovo. I ricercatori mantengono il gas a bassissima pressione in modo che eventuali sostanze che si formano abbiano la possibilità di sopravvivere per qualche istante prima di collidere con altre molecole e reagire. Gli scienziati a quel punto inviano radiazione elettromagnetica di diverse lunghezze d'onda nella camera per misurare lo spettro di quello che si trova all'interno.

"Si può arrivare a produrre in laboratorio la stessa molecola che c'è nello spazio, senza sapere necessariamente di che molecola si tratti", chiarisce Michael McCarthy, fisico dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. "A quel punto bisogna provare a dedurre la composizione elementare da una combinazione di diversi esperimenti di laboratorio con differenti campioni."

Nel 2006 McCarthy e colleghi hanno creato la molecola carica negativamente C6H- e hanno misurato il suo spettro. Poco dopo hanno trovato le stesse caratteristiche spettrali nella Nube molecolare interstellare del Toro, a circa 430 anni luce di distanza da noi. Ricerche precedenti per molecole negative nello spazio non avevano dato risultati, quindi molti scienziati dubitavano che potessero esistere in numero significativo.

"Da quel risultato si sono generate diverse scoperte, grazie a cui siamo riusciti a rilevare molecole simili in laboratorio e poi nello spazio", spiega McCarthy. Il suo gruppo ha ora scoperto C6H- in più di una decina di sorgenti cosmiche.

Nel 1980, scienziati che cercavano di ottenere nuove sostanze chimiche produssero la molecola 36ArH+, uno strano composto normalmente non presente sulla Terra, in cui l'idrogeno si combina con l'argon, gas di solito inerte. Nel 2013 alcuni astronomi hanno scoperto questa molecola nello spazio, prima nella Nebulosa del Granchio e poi in una galassia lontana, grazie alle osservazioni di ALMA.

Alla ricerca di molecole aliene
La Nube molecolare del Toro vista dal telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment), in Cile. (Cortesia: ESO/APEX (MPIfR/ESO/OSO)/A. Hacar et al./Digitized Sky Survey 2/Davide De Martin)  
Composti a base di gas nobili si formano solo in circostanze molto specifiche; gli scienziati pensano che nello spazio, particelle ad alta energia elettricamente cariche chiamate raggi cosmici collidano con l'argon e ne strappino elettroni, permettendo così il legame con l'idrogeno. Per questo motivo, se gli scienziati rilevano 36ArH+ in una regione di spazio, si può supporre che il posto sia bersagliato da raggi cosmici. "È un indicatore molto specifico di queste circostanze che sono molto importanti nello spazio", spiega Holger Müller dell'Università di Colonia, leader del gruppo dietro la scoperta con ALMA.

Un nuovo mondo di molecole
Molte delle molecole presenti nelle stelle e nelle nebulose sono assai esotiche. Chiedere quale aspetto avrebbero o come si comporterebbero se potessimo averle qui è senza senso, perché reagirebbero all'istante. Inoltre, se riuscissimo ad avere un contatto con loro, si rivelerebbero quasi certamente tossiche e cancerogene. Stranamente, però, gli scienziati hanno una vaga idea dell'odore che potrebbero avere: molte di quelle rilevate finora appartengono a una classe di composti chiamati aromatici, derivati dal benzene (C6H6), così chiamati in origine per il loro forte odore.

Alcuni nuovi composti rivelano strutture atomiche sorprendenti e condividono la carica tra gli atomi in modi imprevisti. A volte sfidano le attuali teorie del legame molecolare. Un esempio recente è la molecola SiCSi, scoperta nel 2015 in una stella morente, costituita da due atomi di silicio e un atomo di carbonio legati in modo inaspettato. La molecola risultante è piuttosto elastica e produce uno spettro differente da quello previsto da semplici modelli teorici.

Le molecole spaziali possono aiutare a rispondere a una delle domande fondamentali sull'universo: com'è iniziata la vita? Gli scienziati non sanno se gli amminoacidi, i mattoni fondamentali degli organismi viventi, abbiano avuto origine prima sulla Terra oppure nello spazio, e siano poi stati portati sul nostro pianeta da comete e meteoriti.

"La grande domanda è: si formano nelle nubi molecolari mentre si forma una stella oppure si formano una volta che si abbia un pianeta o qualche altro pezzo di roccia sulla cui superficie possono avvenire reazioni chimiche?" chiede Widicus Weaver. La risposta è determinante per capire se è probabile che gli amminoacidi siano abbondanti e accessibili nell'universo in modo da dare origine alla vita sulla miriade di pianeti extrasolari, o se la chimica da cui siamo nati è possibile solo nella nostra "culla planetaria". Gli astrochimici hanno già individuato segni di amminoacidi nello spazio e sequenze di molecole che potrebbero aver dato loro origine.

Alla ricerca di molecole aliene
Le molecole chiamate buckyball sono state create prima in laboratorio e poi scoperte nello spazio (Cortesia NASA-JPL/Caltech)
Per concludere, forse alcune specie rare potrebbero rivelarsi utili se potessero essere create in grandi quantità e tenute in condizioni controllate. "La grande speranza dell'astrochimica è che si possano scoprire molecole che hanno proprietà nuove, applicabili ai problemi che abbiamo sulla Terra", spiega Fortenberry. Un esempio sono le molecole "buckyball", a forma di pallone da calcio. Questi grandi agglomerati di 60 atomi di carbonio fecero la loro comparsa nel 1985 in un laboratorio, garantendo ai loro scopritori un premio Nobel. Quasi un decennio dopo, gli astronomi hanno osservato caratteristiche spettrali di gas interstellare che sembravano compatibili con la presenza di queste molecole sferiche dotate di carica positiva, e il collegamento è stato confermato a luglio scorso, quando queste caratteristiche sono risultate associate agli spettri di buckyball create in laboratorio in condizioni simili a quelle presenti nello spazio.

"Questa molecola si trova in tutta la galassia e in tutto l'universo", dice Harold Kroto, uno degli scienziati che scoperto le buckyball, professore di chimica presso la Florida State University. Ultimamente, queste molecole sono diventate più che una curiosità scoperta nello spazio, ora sono anche uno strumento pratico per la nanotecnologia, utili per rendere più forti i materiali e migliorare le celle solari, e interessanti anche per il settore farmaceutico.

Gli astrochimici stanno ancora testando le acque poco profonde nel grande mare di molecole presenti nello spazio. I risultati fin qui emersi ci ricordano che il nostro piccolo angolo di cosmo è proprio questo: un esempio insignificante, e non necessariamente rappresentativo di quello che è possibile. Forse le specie che ci sono familiari sulla Terra sono in realtà quelle esotiche, mentre buckyball, C3H+ della Nebulosa Testa di Cavallo e altri composti ancora sconosciuti sono materia ordinaria dell'universo.

martedì 29 dicembre 2015

dante e il marmo

« Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,
che ne’ monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese che di sotto alberga,
ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
e ’l mar non li era la veduta tronca. »
(Dante Alighieri, Inferno,Canto XX, versi 46-51)

da alfonso converso.foto assurde trovate in internet

domenica 20 dicembre 2015

alla faccaia della cattiveria del lupo(autore post Saverio Giambi)

Saverio Giambi I primi 3 lupi sono quelli deboli e malati. Loro danno il ritmo alla camminata di tutto il branco. Se fosse stato il contrario, loro sarebbero rimasti ultimi e sarebbero morti. In caso di attacco loro sono i primi sacrificati. Questi creano il percorso nella neve, per far risparmiare energia a quelli che stanno dietro di loro. Sono seguiti da 5 lupi forti che formano l'avanguardia, invece, al centro si trova la ricchezza del branco - 11 lupe. Successivamente gli altri 5 lupi formano la retroguardia. L'ultimo, quasi isolato dal branco, è il leader. Lui deve vedere bene tutto il gruppo per poterlo controllare, dirigere, coordinare e dare i comandi necessari.
Foto : Parco Naturale Vanatori Neamt Romania.

venerdì 18 dicembre 2015

da le scienze.it-sale rosa

Dario Bressanini

Scienza in cucina

di Dario Bressanini

Sale rosa dell'Himalaya? No grazie

Il sale accompagna la nostra cucina da millenni e ogni italiano ha in cucina una o più confezioni di quei cristalli bianchi, di grandezza e forma variabile, che utilizziamo per insaporire i cibi e per molte altre applicazioni. Negli ultimi anni però si sono diffusi sul mercato anche sali di colori variopinti: rossi, grigi, neri ma soprattutto rosa. Ultimamente infatti è divenuto molto popolare, con il nome di sale dell’Himalaya, un sale proveniente dal Pakistan di un bel color rosa.
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A dispetto del nome questo minerale non proviene dalla catena dell’Himalaya ma dal salt range, nella provincia del Punjab in Pakistan, un sistema di montagne che si estende per circa 200 km, a qualche centinaio di km dalla famosa catena montuosa. In queste montagne sono presenti dei depositi di sale stimati in più di 10 miliardi di tonnellate e numerose miniere, sfruttate sin dall’antichità, che producono circa 600.000 tonnellate di sale all’anno. Nell’estremità orientale del salt range, a 160 km dalla capitale Islamabad, c’è la miniera di Khewra, che produce sale dal 320 a.C..
Khewra è la seconda più grande miniera di sale al mondo, e la più antica del continente asiatico, con sette strati salini alti cumulativamente 150 metri di colori che vanno dal trasparente al bianco al rosa al rosso carne. Le gallerie si estendono per più di 40 km su 18 livelli e un’area di 110 km quadri. La miniera produce 325.000 tonnellate di sale ogni anno. Viene estratto solo il 50% del sale (più precisamente il  minerale halite o salgemma), mentre il resto viene lasciato come pilastri interni alla miniera per sostenere la struttura.
Rosso ferro
Se prendiamo 1 kg di acqua di mare e la facciamo evaporare completamente otterremo circa 35 grammi di sali, di cui la parte del leone la fa il cloruro di sodio, per il 77% circa. Dei sali rimanenti, il 99% è costituito da sali di calcio e magnesio. Il restante sono tracce di praticamente quasi tutti gli elementi noti della tabella periodica, di scarso valore nutrizionale. Nelle miniere di sale troviamo invece i residui di mari e oceani prosciugatisi milioni di anni fa, e che in seguito possono aver subito altri processi geologici tali da alterarne la composizione, e quindi oltre al cloruro di sodio possono essere presenti altre sostanze in quantità non trascurabile. Sono queste impurezze, e in particolare gli ossidi di ferro, a donare al sale rosa il suo colore.
Ho consultato alcuni articoli scientifici che riportano le analisi chimiche del sale rosa di Khewra, e vi è una enorme variabilità nel contenuto di minerali. Il ferro, a seconda del campione analizzato, può essere presente da 0.24 mg/kg fino a 50 mg/kg, duecento volte di più. Vi ho detto che nella miniera sono presenti strati di colore diverso, dal bianco al rosso, quindi non stupisce affatto che campioni diversi diano risultati diversi. Ed è possibile che anche all’interno di uno strato vi siano variazioni notevoli. D’altra parte, se osservate bene il vostro sale rosa, vedrete anche voi benissimo che vi sono pezzi di colore diverso. Dalla ciotola sopra ho provato a separare cristalli di colore diverso, ed è presumibile che se analizzassi i pezzi bianchi troverei una composizione diversa da quelli rossi.
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Se pensate però che, dato che il comune sale da tavola non contiene praticamente ferro, il sale rosa sia una buona fonte di ferro. Beh dovete ricredervi.
Ferro e Sodio
Ogni giorno l’italiano adulto mediamente consuma dieci grammi di sale. Sia aggiunto direttamente a tavola sia negli alimenti e bevande che consuma. Dieci grammi di sale contengono circa 4 grammi di sodio, elemento di cui abbiamo bisogno. Il nostro corpo però non ne necessita così tanto: in condizioni normali eliminiamo giornalmente 0.1-0.6 grammi di sodio, che dobbiamo quindi reintegrare. Il resto è superfluo e se la nostra dieta è troppo ricca di sodio ci possono essere delle ripercussioni sulla nostra salute. Infatti le raccomandazioni sanitarie attuali consigliano di ridurre a 6 i grammi di sale assunti giornalmente. In pratica, poiché di quei 10 grammi giornalieri, dai 3 ai 5 sono aggiunti al cibo  direttamente da noi o mentre cuciniamo, potremmo benissimo assumere tutto il sodio necessario anche senza salare nulla, anche se il sapore ovviamente ne risentirebbe. È sicuro però che, con i grandi consumi attuali di sale, è possibile sicuramente ridurne l’utilizzo, senza doverlo eliminare del tutto e senza grosse ripercussioni sui sapori.
Ma torniamo al ferro: supponiamo di sostituire quei cinque grammi giornalieri di sale bianco che usiamo in cucina con del sale dell’Himalaya. Poiché un chilogrammo di sale rosa contiene da 0.2 a 50 mg di ferro, assumeremmo giornalmente da 0.001 mg a 0.25 mg di ferro attraverso quei cinque grammi di sale. È poco? È tanto?
Agli adulti maschi si raccomanda l’assunzione di 10 mg di ferro al giorno, mentre per le donne si va dai 27 in gravidanza ai 18 da adulte per ridursi a 10 per le donne anziane. Capite bene quindi che l’assunzione di ferro dal sale rosa è, numeri alla mano, del tutto trascurabile. Forse otterremmo qualche cosa di più succhiando un chiodo arrugginito ;) . È lo stesso discorso che avevo fatto cercando di spiegare perché chi vanta “superiori proprietà nutrizionali” dello zucchero di canna ci marcia contando che nessuno vada a fare i calcoli (oppure è semplicemente inaffidabile). Una persona con una dieta bilanciata non ha bisogno di assumere ferro dal sale o dallo zucchero, mentre se si ha una carenza non sono certo le infime quantità presenti nel sale, o nello zucchero, che possono aiutare. Possiamo assumere il ferro da molti altri alimenti dove è più disponibile: 100 grammi di fegato di vitello o 100 grammi di fagioli ne contengono 9 mg mentre un tuorlo d’uovo ne contiene 5 mg.
Discorso analogo se andiamo ad analizzare il contenuto di altri minerali, come Zinco o Manganese, di cui ne dobbiamo assumere quantità dell’ordine dei milligrammi.
Sempre senza numeri!
Questo giochino di magnificare le proprietà nutrizionali di un alimento senza fornire dei numeri di riferimento è fin troppo diffuso. Soprattutto in rete. Spesso mi arrabbio quando leggo che questo o quell’alimento sono “ricchi di…”, senza numeri. A volte è fatto in modo innocente, per non appesantire il discorso, ma altre volte no. Da scienziato sono abituato a “misurare il mondo” con i numeri, non con le parole. Però i numeri, purtroppo, rendono molto meno “appetibile” un articolo, se non addirittura scoraggiarne la lettura per alcuni lettori, mentre scrivere che la menta o il pepe sono ricchi di ferro rende subito più “salutista e nutriente” una ricetta. Ed è vero che le foglie di menta (10 mg/100 g) o il pepe (11 mg/100g) contengono tanto ferro. Ma quanto pepe e quanta menta utilizzate in una ricetta? Se sostituite in un dolce lo zucchero bianco con quello di canna demerara, o col mascobado, o condite le patate arrosto con il sale integrale invece che con quello bianco purificato, non pensiate che questo le trasformi magicamente in “ricette salutiste”.
Un essere umano adulto deve assumere 0.15 millligrammi di Iodio al giorno, e in molte zone d’Italia e del mondo vi è una carenza di questo elemento nell’alimentazione, ed è per questo che si consiglia il consumo di sale iodato, la cui aggiunta di iodio al sale è stata tarata per poter assumere tutta la quantità di iodio che ci serve da 5 grammi di sale. Nonostante quanto alcuni scrivano (sempre senza numeri alla mano), il sale integrale non contiene una quantità sufficiente di iodio, ed è per questo che è necessario integrarlo.
Alcuni siti sostengono che il sale rosa dell’Himalaya contenga già una quantità di Iodio sufficiente per i nostri fabbisogni. Purtroppo, vedi la sfiga, tra tutte le impurità presenti nel sale rosa, non vi è proprio traccia dello iodio. Questo è il motivo per cui nella vicina India è addirittura vietata la vendita di questo sale o di qualsiasi altro sale non iodato, a seguito di una campagna nazionale volta a eliminare la carenza di iodio nella popolazione.
E il resto?
Molto spesso del sale rosa si magnifica il fatto che contenga moltissimi elementi, e non solo cloruro di sodio come il sale raffinato da tavola. In realtà come vi ho spiegato, numeri alla mano, non vi sono motivazioni di tipo nutrizionale valide per usare questo sale, e vado letteralmente in bestia quanto lo sento descrivere come “protagonista assoluto del benessere” o con tutta una serie di presunti benefici (completamente inventati, senza uno straccio di riferimento scientifico) da chi viene presentato come “nutrizionista” (notevole gli “elementi della tavola pitagorica” al minuto 1:23 del video). Se cercate in rete trovate letteralmente centinaia di articoli che magnificano le proprietà di questo sale; anche purtroppo siti di biologi, medici o nutrizionisti, tutti rigorosamente senza uno straccio di riferimento scientifico. Ma soprattutto tutti che ripetono a pappagallo da bufala degli 84 elementi che servirebbero al nostro organismo. Viene addirittura spacciato per “integratore naturale”. La Società Italiana di Nutrizione Umana riporta i livelli dei 15 (quindici!) elementi nutrienti che devono essere assunti giornalmente. Alcuni altri, come il Cobalto, li assumiamo solo in forma organica (nella vitamina B12), mentre di qualche altro o è ancora dibattuto il suo reale ruolo nel nostro organismo oppure ne abbiamo bisogno in tracce talmente piccole che non sono ancora state determinate. In ogni caso per quello che sappiamo oggi non superiamo i 24 elementi. E gli altri 60 per arrivare al numero magico 84? Che fanno? A che servono? Provate a chiederlo a chi continua a propagare questa storia e vediamo che vi risponde.
Il sale rosa contiene sì un sacco di altre cose oltre al cloruro di sodio, anche se non esiste nessuna analisi chimica pubblicata su una rivista scientifica che riporti i mitologici 84 elementi. Questa caratteristica però, lungi dall’essere necessariamente positiva come viene invece strombazzata, merita un approfondimento. Nella letteratura scientifica ho trovato tre articoli abbastanza recenti che analizzano la presenza di alcuni elementi. Le analisi pubblicate mostrano come il sale di Khewra possa contenere delle concentrazioni non trascurabili di metalli come Rame, Zinco, Cadmio, Nickel, Manganese, Piombo, Cobalto, Tellurio, Bario, Alluminio e altri.
Alcuni di questi, come il Rame o lo Zinco, in piccole dosi sono utili per il funzionamento del nostro organismo. Purtroppo come già detto il sale rosa non ne contiene abbastanza.
Altri invece, come il Cadmio o il Piombo, (nei famosi 60 che mancano per arrivare a 84), non solo non sono assolutamente necessari, ma sono addirittura tossici e si accumulano nell’organismo. Mi soffermo per brevità solo su uno di questi.
Il Cadmio
Il Cadmio è un metallo estremamente tossico, che può causare danni ai reni, difetti al sistema riproduttivo, è teratogeno e l’OMS/IARC lo classifica come cancerogeno di classe 1. Per questo motivo la FAO e l’OMS (Codex alimentarius) hanno fissato in 0.5 mg/kg il massimo residuo di cadmio che può essere presente nel sale alimentare. Le analisi pubblicate in letteratura sono molto variabili, dipendendo molto dalla qualità e dalla provenienza, all’interno della miniera, del campione, con valori di Cadmio che vanno da zero fino a 9 mg/kg, quasi venti volte la dose considerata ammissibile. Data la variabilità esistente, è difficile conoscere il contenuto di metalli pesanti nel sale rosa venduto in Italia, è non è affatto detto che a una minore colorazione rossa corrisponda anche una minore concentrazione degli altri contaminanti.
In ogni caso, data la possibilità di assumere quantità piccole ma non trascurabili di metalli pesanti che si possono accumulare nell’organismo, senza alcun altro beneficio nutrizionale, non c’è alcun motivo per preferire questo sale al normale, e praticamente privo di metalli pesanti, sale bianco raffinato.
C’è da preoccuparsi se usate regolarmente il sale rosa, perché ve lo hanno regalato e non volete buttarlo oppure perché avete creduto in buona fede a qualche imbonitore con camice bianco? Secondo l’OMS possiamo tollerare 500 microgrammi di Cadmio alla settimana. Consideriamo il caso del sale rosa più contaminato di Cadmio, con 9 mg/kg. Assumendone 5 grammi al giorno stiamo assumendo 315 microgrammi di Cadmio alla settimana, inferiore al limite consigliato dall’OMS. Quindi state tranquilli che non rischiate l’avvelenamento.
Ma perché dovremmo assumere 500, 315 o anche solo 100 microgrammi di Cadmio? Solo per seguire una stupida moda?
Non riduce l'ipertensione, non la ritenzione idrica, non ci sono vantaggi nell'usarlo. Contiene impurezze che, seppure non in dosi da farlo risultare tossico, di sicuro non servono al nostro organismo e che comunque sarebbe meglio non assumere. L'alternativa? Un buon sale bianco quasi puro, da salina o salgemma, che costa anche meno.
Sale rosa? No grazie.
Dario Bressanini
P.S. dimenticavo, anche le lampade al sale rosa servono solo a far luce, non a emanare "preziosi ioni negativi". Sono carine, ma nulla più. Nessun effetto sulla salute.
P.P.S, nota aggiunta visti certi commenti in rete: come ho scritto, se lo usate una volta ogni tanto non succede ovviamente nulla, non dovete buttarlo come se fosse materiale radioattivo :D Io col mio ci ho fatto dei bellissimi cristalli BIANCHI, seguendo la procedura di raffinazione casalinga che vi ho mostrato nell'articolo precedente :D
Bibliografia
1) Sharif, Qazi Muhammad, Mumtaz Hussain, and Muhammad Tahir Hussain. "Chemical Evaluation of Major Salt Deposits of Pakistan." JOURNAL-CHEMICAL SOCIETY OF PAKISTAN 29.6 (2007): 569.
2) ur Rahman, Attìgue, Amjad Islam, and Muhammad Akhyar Farrukh. "Preparation of Analytical Grade Sodium Chloride from Khewra Rock Salt."World Applied Sciences Journal 9.11 (2010): 1223-1227.
3) Nafees, Mohammad, et al. "ANALYSIS OF ROCK AND SEA SALTS FOR VARIOUS ESSENTIAL S AND INORGANIC ELEMENTS." Journal of science and Technology 37.1 (2013): 09-20.
Ho riunito qui sotto i dati degli elementi in tracce dei vari campioni analizzati nei tre articoli (in mg/kg)
Khewra 1 Pink 1 Red 2-1 2-2 2-3 3 Khewra edible 3 Khewra crystal white
Fe (Ferro)
0.24
0.46
49.844
24.89
19.64
21.18
19.17
Zn (Zinco)
0.12
0.13
17.584
6.8954
17.896
4.1
0
Cu (Rame)
0
0.01
1.9841
2.3167
19.48
4.04
3.08
Mn (Manganese)
0
0
6.7482
9.0567
3.8054
19.01
17.1
Cr (Cromo)
0.36
0.36
3.7692
1.2234
1.379


Pb (Piombo)
0.1
0.37
9.7143
17.743
28.976


Cd (Cadmio)
0
0
8.947
0.6343
5.8645
8
1.05
Ni (Nickel)

6.0962
4.7856
0.9834
8.2
6.194
Co (Cobalto)

0.7659
1.049
7.9849
10.01
0
Ag (Argento)

0.6317
0.5943
0.2146


Al (Alluminio)

26.121
38.127
28.51


B (Boro)

19.5
38.127
28.51


Ba (Bario)

25.157
13.276
23.987


Bi (Bismuto)

7.141
13.436
8.6493


Ga (Gallio)

9.7819
4.6645
7.762


In (Indio)

6.7095
5.9634
4.958


Li (Litio)

3.8214
5.9418
7.8943


Sr (Stronzio)

37.894
61.567
34.567


Te (Tellurio)

11.56
18.765
41.987

martedì 1 dicembre 2015