Il diagramma del brillamento solare del 1 settembre 1859 tracciato dal suo scopritore, l'astronomo inglese Richard Carrington. Gli archi del flare sono indicati dalle lettere A, B, C e D. Questo brillamento è ritenuto il più intenso degli ultimi 2.000 anni. Ma sarebbe decine di migliaia di volte più debole di quelli osservati su altre stelle simili al Sole dal satellite Kepler della NASA.
Siete preoccupati per le tempeste solari che, specie nei prossimi mesi, potrebbero investirci? L’argomento è in effetti di estrema attualità, visto che proprio in queste ore stiamo tirando un sospiro di sollievo per il gigantesco gruppo di macchie solari denominato AR 1476, prossimo ormai al bordo del Sole che, per fortuna, non ha prodotto i fenomeni temuti, come intensi brillamenti (flare) ed emissioni di massa coronale (CME). Temuti perché nei casi più estremi i loro effetti sulla Terra riuscirebbero a danneggiare la nostra rete di telecomunicazioni e, magari, arrivare a produrre qualche black out sulle reti elettriche alle alte latitudini. Ma tutto sommato, anche dovessero presentarsi queste circostanze, dovremo ritenerci fortunati. Si perché, a quanto pare, nell’universo le stelle come il Sole sembrano molto più attive e soprattutto capaci di produrre esplosioni con energie migliaia o addirittura milioni di volte maggiori dei più violenti brillamenti che abbiamo finora registrato sulla nostra stella.
A indicare questo scenario è lo studio di un gruppo di ricercatori giapponesi dell’Università di Kioto guidato da Hiroyuki Maehara, che viene pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature. Il team ha analizzato i dati raccolti dal satellite Kepler della NASA che tiene continuamente sotto controllo oltre 100.000 stelle, riuscendo a rilevare anche le loro più piccole variazioni di luminosità.
Tra tutte queste i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sulle oscillazioni della luce prodotta da circa 83.000 stelle che presentano caratteristiche analoghe al nostro Sole, come massa, temperatura superficiale, età, riuscendo a individuare 365 brillamenti avvenuti su 148 differenti astri. E dall’analisi che ne segue, i brillamenti che si registrano sulla nostra stella sembrano essere al confronto poco più che deboli scintille.
I superflare extrasolari hanno durate che arrivano fino a 12 ore, rilasciando energie che possono essere decine di migliaia di volte maggiori di quello che ad oggi è il brillamento solare più potente mai registrato, avvenuto nel 1859. E, in analogia a quanto avviene sulla nostra stella, sono stati tutti prodotti da astri che presentano grandi macchie. È quindi confermata l’ipotesi che, così come accade per la nostra stella, questi fenomeni siano la diretta conseguenza delle interazioni dei campi magnetici e a meccanismi di riconnessione ad essi legati. Resta però il dubbio sul perché oggetti celesti che possono essere considerati in tutto e per tutto ‘gemelli’ del Sole presentino fenomeni così straordinariamente intensi e frequenti rispetto a quanto produce la nostra stella. Forse questi superflare potrebbero essere innescati dalla presenza di pianeti di massa comparabile o maggiore a quella del nostro Giove che si trovano in orbite molto ravvicinate attorno alla loro stella madre. Il fatto che però tra tutti i 148 astri che hanno mostrato brillamenti, nessuno sembra possedere pianeti di tipo ‘Giove caldo’, lascia la questione ancora aperta.
“Questo studio è una chiara dimostrazione di come le nostre conoscenze sui fenomeni solari possano contribuire alla comprensione di processi analoghi in altre stelle, in questo caso per quegli eventi che prendono il nome di “superflare” (caratterizzati da energie comprese fra 1033 e 1036 erg), osservati in stelle simili al Sole e rapidamente rotanti” commenta Francesca Zuccarello, dell’Università di Catania e associata INAF. “Nell’articolo viene infatti sottolineato come la rotazione della stella possa essere correlata con il livello di attività magnetica, facendo riferimento alla ‘teoria della dinamo’ sviluppata proprio per capire i fenomeni di attività ciclica del Sole. Un altro interessante risultato che emerge dal lavoro è quello della frequenza con cui questi brillamenti super energetici possano verificarsi nelle stelle del campione: uno ogni 350 anni. Tuttavia, dicono gli autori, non vi sono dati che possano far concludere che sul Sole vi siano stati superflare negli ultimi 2000 anni.  Probabilmente sarebbero l’età delle stelle prese in esame e la loro maggiore velocità di rotazione rispetto a quella del Sole due fattori in grado di scatenare questi eventi così energetici”.
Conseguenza di questo studio anche l’interrogativo sulla vita, quanto possa essere legata all’”anomala” tranquillità del nostro Sole, o quanto quei soli possano dare il via a forme di vita differenti. Sarà l’occasione per tornarci sopra.