Chesley ha presentato le sue scoperte durante il recente congresso “Asteroids, Comets, Meteors” che si è tenuto la settimana scorsa a Niigata, in Giappone.
Ma come è stato possibile raggiungere un tale risultato? Per prima cosa, è stato necessario determinare con estrema precisione l’orbita dell’asteroide e tutti gli effetti che possono influenzarla, incluse le perturbazioni gravitazionali dovute ad altri oggetti celesti o forze di natura non gravitazionale, per quanto piccole, che potrebbero agire sull’asteroide.
E’ bene ricordare che il radar planetario è un potentissimo strumento che permette di misurare la velocità radiale di un asteroide rispetto alla Terra con un errore di qualche millimetro al secondo e la sua distanza con un errore di poche decine di metri su distanze di milioni di km. L’analisi degli echi radar provenienti da un asteroide permette inoltre di ottenere una vera e propria immagine dell’oggetto.
Utilizzando le osservazioni estremamente precise di questo asteroide, denominato con la sigla 1999 RQ36, fatte dal radar di Arecibo nel settembre 2011, e quelle precedenti effettuate da Arecibo e Goldstone tra il 1999 e 2005, Chesley è riuscito a calcolare di quanto l’asteroide in questo lasso di tempo abbia deviato dalla sua orbita nominale. Ha così scoperto che la posizione di 1999 RQ36, nel corso degli ultimi 12 anni, è cambiata di circa 160 km rispetto a quella che risulta dal modello matematico che prende in considerazione le influenze gravitazionali di tutti i corpi che possono agire su questo piccolissimo pianeta. L’unica spiegazione logica per questo cambiamento orbitale è che questo roccione spaziale sia soggetto ad una forza non gravitazionale conosciuta come effetto Yarkovsky.
Questo effetto porta il nome di un ingegnere russo del XIX° secolo che propose l’idea che un piccolo oggetto roccioso rotante nello spazio, dopo lunghi periodi di tempo, potrebbe subire delle sostanziali deviazioni della sua orbita a causa della leggera spinta che si genera quando dal versante “pomeriggio” il suolo riscaldato dalla radiazione solare riemette come calore l’energia assorbita in precedenza. Questo effetto è molto difficile da misurare perché è incredibilmente piccolo.
L’ultimo pezzo del puzzle è stato fornito da Josh Emery dell’Università del Tennessee, che ha usato il telescopio spaziale Spitzer per studiare le caratteristiche termiche di 1999 RQ36. Le misure fatte da Emery, riguardo all’emissione infrarossa dell’asteroide, gli hanno permesso di derivare le temperature sulla superficie dell’oggetto. Da questi dati è riuscito a determinare lo spessore del materiale fine (regolite) che ricopre la superficie dell’asteroide, che agisce come un isolante, ma che rappresenta un fattore chiave per determinare l’efficienza dell’effetto Yarkovsky.
Conoscendo l’orbita dell’asteroide, le sue dimensioni, le sue proprietà termiche, lo spostamento subito nel corso di 12 anni a causa della spinta prodotta dall’effetto Yarkovsky, Chesley è riuscito a calcolare la massa di 1999 RQ36, che è risultata essere di circa 60 milioni di tonnellate. Ma le sue dimensioni sono solo di circa 500 metri e questo significa quindi che la sua densità è più o meno quella dell’acqua; si tratta quindi, molto probabilmente, di un oggetto dalla struttura molto porosa.
L’interesse intorno a questo particolare asteroide è grande anche perché è l’obiettivo principale della missione OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resourse Identification, Secury, Regolith Explorer), della NASA. Questa missione partirà nel 2016, visiterà 1999 RQ36, lo studierà in dettaglio, raccoglierà dei campioni per riportarli sulla Terra il decennio successivo.