Le Scienze
La ceretta di Occam
Di cellulite e favole
«Tu fammi un solo esempio di una che conosciamo alla quale è andata bene»
«Vuoi un esempio? Vuoi che faccia un nome? Vuoi che ti dica un nome, insomma, uno qualunque?»
«Sì, uno. Me ne basta uno»
«Dio, che ossessione sono i nomi… quella granculo di Cerentola!»
«Vuoi un esempio? Vuoi che faccia un nome? Vuoi che ti dica un nome, insomma, uno qualunque?»
«Sì, uno. Me ne basta uno»
«Dio, che ossessione sono i nomi… quella granculo di Cerentola!»
.La
scena ce l’abbiamo in mente tutte noi che eravamo adolescenti tra gli
anni Ottanta e Novanta. O almeno, tutte quelle che come me sono
cresciute davanti alla tv e che su quell’idea del “voglio la favola,
Edward!” hanno impostato le loro relazioni amorose e conseguenti
fallimenti.
Sto parlando di Pretty Woman, il film che
vede una giovanissima Julia Roberts nei panni di una prostituta,
Vivian, che si innamora del belloccio e straricco Richard Gere, Edward.
Peripezie, incomprensioni, lacrime, ma alla fine l’amore trionfa
e Vivian la sua favola se la porta a casa.
Perché ve ne parlo? Perché quella scena
mi è tornata in mente mentre studiavo per questo post sulla cellulite.
Sì, proprio “l’incubo di molte donne”, quello che i giornali
scandalistici sbattono in copertina ogni estate come “Le star con la buccia d’arancia - CLICCA QUI!”.
E, come spesso accade con gli incubi, il marketing ci sguazza facendo
passare l’idea che sia, di volta in volta, una malattia, un’eccezione,
qualcosa di cui vergognarsi, un inestetismo da combattere con tutti i
mezzi e così via. E noi lì a spalmarci di creme, fasciarci come mummie,
prendere integratori, bere molta acqua, calare beveroni detossificanti e
sperare nel miracolo. Non tutte, eh. Io per esempio, sarà che non nuoto
e non sopporto il sole quindi il mare lo guardo giusto da lontano,
l’incubo cellulite non ce l’ho proprio mai avuto, però per darvi l’idea,
solo per le creme, escludendo quindi i trattamenti fisici, nel 2015
abbiamo speso 90 milioni di euro, ai quali si aggiungono i costi dei massaggi, dei macchinari utilizzati nei centri estetici e quelli della chirurgia.
Al di là del marketng, la realtà, però, è
quella di Pretty Woman e cioè che la cellulite ce l’abbiamo tutte,
magre o grasse, belle o brutte. Tutte meno un’unica fortunata su dieci,
quella granculo che se la scampa, anche se non sappiamo bene perché.
Le prime descrizioni della cellulite
risalgono alla metà dell’Ottocento. Non che prima non ce l’avessero. Ce
l’avevano, ma non le avevano dato un nome. Dobbiamo aspettare fino agli
anni Settanta del secolo scorso, cioè quando siamo nate noi cercatrici
seriali di favole, per averne finalmente una descrizione scientifica degna di questo nome.
I due autori dello studio, i ricercatori tedeschi Nürnberger e Müller, hanno analizzato i tessuti di 150 cadaveri e di 30 persone viventi, uomini e donne e sono arrivati alla conclusione che è “una malattia inventata”, attribuendo il classico aspetto a buccia d’arancia a due fattori: il volume maggiore delle cellule adipose nelle persone che hanno la cellulite rispetto a quelle che non ce l’hanno e le differenze nell’architettura tissutale sottocutanea, in pratica l’impalcatura a base di collagene che “tiene su” il pannicolo adiposo. Immaginatevelo come un materasso: avete la lana equamente distribuita a occupare tutto lo spazio disponibile, i maschi hanno le fibre di collagene intrecciate a formare una rete, le femmine, invece, ce le hanno perpendicolari, come le molle dei materassi, ancorate alle due superfici esterne a dar sostegno.
I due autori dello studio, i ricercatori tedeschi Nürnberger e Müller, hanno analizzato i tessuti di 150 cadaveri e di 30 persone viventi, uomini e donne e sono arrivati alla conclusione che è “una malattia inventata”, attribuendo il classico aspetto a buccia d’arancia a due fattori: il volume maggiore delle cellule adipose nelle persone che hanno la cellulite rispetto a quelle che non ce l’hanno e le differenze nell’architettura tissutale sottocutanea, in pratica l’impalcatura a base di collagene che “tiene su” il pannicolo adiposo. Immaginatevelo come un materasso: avete la lana equamente distribuita a occupare tutto lo spazio disponibile, i maschi hanno le fibre di collagene intrecciate a formare una rete, le femmine, invece, ce le hanno perpendicolari, come le molle dei materassi, ancorate alle due superfici esterne a dar sostegno.
Se
aumentate la quantità di lana, ottenete un materasso con gobbe più
pronunciate. Questo è ciò che avviene anche nelle nostre cosce, nelle
quali i globuli di grasso occupano tutto lo spazio tra l’impalcatura
fibrosa di collagene ancorata alla pelle. Se aumentano di dimensioni, le
gobbette si accentuano. Così:
Quindi non è tanto questione di
magrezza e grassezza. La cellulite viene anche alle magre e magrissime.
“Anche alle modelle” mi diceva l’altra sera una persona che per hobby fa
il giurato ai concorsi di bellezza. “Si spalmano il cerone e via in
passerella”.
Ma se tutte abbiamo il collagene messo in
quel modo lì, perché alcune se la scampano e altre invece hanno la
pelle che sembra una pista per le biglie?
La risposta vera è che non si sa. Ci sono molte ipotesi
e molte scuole di pensiero che vanno dalle alterazioni del microcircolo
sanguigno, all’influenza dei fattori ormonali, allo stile di vita
sedentario e a molto altro. Di sicuro c’entra la genetica, anche quella
di popolazioni: le donne asiatiche e africane mediamente hanno meno
cellulite di quelle occidentali. E anche fra le occidentali c’è chi ce
l’ha di più sulle cosce (noi mediterranee) e chi più sull’addome (le
nordiche). Un nuovo filone di studi si
sta concentrando sulla presenza di polimorfismi (cioè, mutazioni) in
particolari geni che hanno a che fare con la regolazione ormonale (da
cui è subito spuntato un “test genetico per rivelare la tendenza alla
cellulite” con relative "cure" pronte all'uso, ovviamente)
Insomma, si sa che c’è qualcosa dentro di
noi che ne favorisce la formazione a prescindere da quel che facciamo e
che difficilmente potrà essere modificato con una semplice crema. Poi
lo stile di vita, la dieta, lo stress, lo sport, eccetera possono
influire positivamente o negativamente, ma il vero punto della questione
è che in questo contesto di incertezza è difficile sviluppare soluzioni
efficaci e misurarle. Qualcuno ci ha provato, però. Esiste una
"evidence based cosmetics", cioè la cosmetica basata sulle prove che,
ispirandosi all'equivalente medico, punta a misurare l'efficacia dei
tanti trattamenti cosmetici in un settore in cui, come potete
immaginare, le affermazioni prive di fondamento la fanno da padrone. I
risultati? Bè, niente favola qui, purtroppo. Ma ci torneremo perché
meritano molto spazio.
Alla prossima,
Beatrice Mautino
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