In questi
giorni, in tutta la Rete, si sta diffondendo viralmente un articolo
dell’Asian Tribune – del 10 ottobre 2009 – contenente delle immagini
shock. Vista la drammaticità della narrazione, la vividezza delle foto e
la datazione della news, ecco una rivisitazione di quell’articolo. Sia
per tradurne i contenuti in lingua italiana e riportarne fedelmente le
immagini – facilitando la comprensione tanto della storia, documentata,
che del clamore che suscitarono le foto, intercettate erroneamente da un
sito pornografico -, che per contestualizzarlo meglio, dal momento che
sono stati diversi i fraintendimenti e i dubbi sollevati, a cominciare
dalla credenza che fossero avvenimenti recenti. Sono state ricercate e
indicate le opportune fonti, che ci sono. Il tutto per fornire
un’adeguata cornice interpretativa ai fatti di allora, consapevoli che
certamente la situazione sugli attuali scenari di conflitto, nel
frattempo, non è cambiata. E, appunto, per non dimenticare mai le
atrocità condotte in guerra dai soldati americani, la mancanza di
rispetto verso la persona umana in ogni guerra e le responsabilità della
politica nella censura delle informazioni. Obama compreso, in questo
caso.
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Una gruppo di soldati ha violentato una ragazza di 14 anni
– Abeer Qasim Hamza al-Janabi - e ucciso lei e la sua famiglia,
compreso un bambino di 5 anni. Questa tragedia passerà alla storia – col
nome di Mahmudiyah killings - come uno dei crimini di guerra
più efferati della storia degli Stati Uniti d’America. E varrà come
testimonianza indiscutibile del lato più brutale ed inumano della
politica estera a stelle e strisce: quella dello stupro come arma di umiliazione, di intimidazione, di guerra.
immagini shock
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Uno degli assassini, Steven Green,
è stato giudicato colpevole il 21 Maggio 2009 presso la Corte
Distrettuale di Paducah e condannato al carcere a vita. Quanto trapelato
dal Public Affairs Guidance
ha messo l’ufficio stampa della 101ma Airborn Division in una
“posizione passiva”, mantenendo nascoste diverse informazioni dove
possibile. Ha così omesso la presenza di bambini tra le vittime, oltre
ad aver descritto la vittima dello stupro, che aveva appena compiuto 14
anni, come una “giovane donna”. A seguito della reazione indignata del
mondo intero – e della conseguente sete di giustizia – l’avvocato
difensore di Green, Darren Woff, poco prima della sentenza, ebbe persino il coraggio di mettere sull’attenti la Corte: «L’opinione pubblica internazionale non dovrebbe essere rilevante per il perseguimento della giustizia»
La pubblicazione, da parte della CBS
News, di fotografie raffiguranti atroci abusi sessuali e torture sui
prigionieri di guerra iracheni all’interno della nota prigione di Abu Ghraib (in Iraq, ndr), «ha scoperchiato un vaso di Pandora per l’amministrazione Bush», come ha scritto Ernesto Cienfuegos su La Voz de Aztlan, il 2 maggio del 2004.
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Il brigadiere generale Karpinski,
che era a capo dell’800ma Brigata della Polizia Militare, ha parlato di
una fortissima pressione da parte dell’Intelligence militare e della
CIA, volta a premiare gli interrogatori che si concludevano con delle
confessioni. Un mese prima che i presunti abusi e stupri avvenissero, ha
dichiarato, una squadra di ufficiali della CIA e dell’Intelligence ,e
alcuni consulenti privati impiegati dal governo statunitense, si erano
recati ad Abu Ghraib. «La loro principale e specifica missione era dare agli interroganti nuove tecniche per ottenere più informazioni dai detenuti».
Almeno una tra le fotografie mostrerebbe
un soldato americano mentre violenta una prigioniera, e un’altra
raffigurerebbe un traduttore nell’atto di violentare un detenuto. Altre
foto riporterebbero abusi sessuali perpetrati sui prigionieri mediante
oggetti, tra cui un manganello, un cavo elettrico e un tubo
fosforescente. Un’altra mostrerebbe una prigioniera spogliata a forza,
per costringerla ad esporre il seno. Dettagli sui contenuti sono emersi
dalle parole del Generale maggiore Antonio Taguba, ex-ufficiale
dell’esercito, che ha condotto un’inchiesta sul carcere iracheno di Abu
Ghraib. Accuse di stupro e abusi sono state incluse nel suo rapporto del
2004, ma il fatto che vi fossero delle fotografie non è mai stato
rivelato. Più tardi, egli stesso ha confermato la loro esistenza in un’intervista del 27 maggio 2009 al Daily Telegraph.
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Il giornale londinese ha inoltre scritto
che «la natura grafica di alcune immagini potrebbe spiegare i tentativi
del presidente americano Obama di bloccare l’uscita di
2000 fotografie provenienti da prigioni in Iraq e Afghanistan,
nonostante una sua precedente promessa di consentirne la pubblicazione».
Non a caso, inizialmente l’amministrazione Obama dichiarò di rilasciare
senza troppe remore le foto. Ma dopo aver subito pressioni costanti da
parte di alti funzionari militari, Obama cambiò idea: «La
conseguenza più diretta del loro rilascio, credo, sarebbe quello di
infiammare l’opinione pubblica anti-americana e di mettere le nostre
truppe in maggior pericolo». La solita scusa della sicurezza,
trita e ritrita. Già nota alle cronache per i vari casi “Manning”, in
cui alla verità oggettiva proposta da un eroe, si è preferito porre
l’accento sulla sicurezza nazionale. Come se a doverla preservare
fossero giornalisti e whistleblower, e non i governi stessi.
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Il Panopticon di Bentham, dove un unico secondino controllava dal centro tutti i prigionieri, è spodestato da Abu Ghraib,
dove i secondini si fotografano tra di loro con i fototelefonini. Alla
lineare visione di Foucault e dei suoi seguaci di un potere accentrato e
opaco che osserva e che non si fa osservare da nessuno, si sostituisce un potere decentrato e narcisista che si immortala con l’autoscatto e si fa mandare in onda.
(Vittorio Mathieu, Conflitto e narrazione, p. 176)
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[Fonti: Asian Tribune, Time U.S., La Voz de Atlan, The Guardian]
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Federico Sbandi (@FedericoSbandi)
Traduzione a cura di Beatrice Di Pietrantonio
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