«La
verità - racconta un magistrato che la conosce bene - è che Ilda non ha
mai voluto al suo fianco colleghi, ma solo gregari. É talmente convinta
di essere dalla parte della ragione che fatica a elaborare il dissenso.
Per questo, alla fine, si è ritrovata a litigare con tutti, o quasi».
Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà: è raro che gli esseri umani
migliorino con l'età, e Ilda Boccassini, compiuti da poco i sessantatrè
anni, non fa eccezione. Le asprezze del suo carattere sono da sempre
note. Ma da questa mattina, nella carriera della dottoressa, c'è un
nuovo, scomodo, capitolo: la relazione piovutale addosso dalla Direzione
nazionale antimafia, altrimenti nota come Superprocura, ovvero
l'organismo giudiziario che deve coordinare l'attività dei pool
antimafia di tutte le procure italiane. Il pool milanese - nome tecnico,
Direzione distrettuale antimafia - è uno dei più importanti. E alla sua
guida c'è lei, la Boccassini, procuratore aggiunto della Repubblica.
Sotto la sua guida, il pool antimafia ha portato a segno retate su
retate contro quanto rimane di Cosa Nostra al nord, e soprattutto contro
i clan della 'ndrangheta. Sempre sotto la sua guida, la Dda milanese ha
condotto l'inchiesta su Silvio Berlusconi per il caso Ruby, coronata
dalla condanna dell'ex premier a sette anni di carcere.
Ma sotto la sua guida, dice la Direzione nazionale, la Dda milanese
si è anche trasformata in organismo lontano dai criteri di
collaborazione che sono alla base della legge che ha creato i pool e la
superprocura stessa. Fu, a ben ricordare, una delle più importanti
intuizioni di Giovanni Falcone, che per questo venne messo in croce dai
suoi stessi colleghi, che lo accusarono di aprire la strada al controllo
dei pm da parte del governo: la creazione di una struttura
centralizzata che superando campanilismi senza senso coordinasse le
attività antimafia di tutte le procure italiane. Perchè questo possa
accadere, è indispensabile che dalle procure locali il flusso di
informazioni verso Roma sia costante. Ma proprio qui, scrive la Dna,
casca l'asino. Milano, ovvero la Boccassini, non ci racconta niente.
Peggio: anche al suo interno, il pool antimafia di Milano non fa
circolare le informazioni.
Così, all'improvviso, sulla Boccassini ricade l'accusa che la ha
accompagnata per tutta la sua carriera. L'accusa di essere un cavaliere
solitario. Di non fidarsi di nessuno. Di non saper lavorare in gruppo.
Per questo nel 1991 il suo capo di allora, Francesco Saverio Borrelli,
la estromise dal pool antimafia. Lei l'anno dopo se ne andò in Sicilia a
dare la caccia agli assassini di Falcone. Ma anche qui i problemi
vennero a galla in fretta: si scontrò frontalmente con il procuratore di
Palermo, Giancarlo Caselli, e se ne tornò al nord. A Milano, ha
ottenuto la guida del pool antimafia, ma anche qui non sono state rose e
fiori: al suo arrivo se ne andò quasi subito Celestina Gravina, una
delle menti storiche del pool; e poco dopo anche Mario Venditti, altro
pm di lungo corso, preferì cambiare incarico. Allontanamenti mai
motivati ufficialmente con i dissapori con «la capa». Ma a Palazzo di
giustizia tutti sanno che dietro c'è l'insofferenza, in particolare dei
pm più anziani, verso il modo della Boccassini di gestire la squadra.
Basta leggere le intestazioni dei fascicoli per capire, d'altronde,
che la Boccassini si fida - per le cose cui annette importanza - di un
paio di sostituti al massimo. A tutti gli altri assegna i fascicoli di
secondo piano, e, come ha rilevato la Dna, non racconta nemmeno quali
inchieste sono in corso. Proprio a uno dei suoi pm di fiducia, Paolo
Storari, la Boccassini aveva chiesto che venisse assegnata anche la
nuova indagine su Berlusconi, il cosiddetto Ruby ter. Ma il procuratore
Edmondo Bruti Liberati ha preferito assegnare il delicato fascicolo ad
un altro pool e a un altro pm. Non si sa quale sia stata la reazione
della Boccassini.
Il problema è che da parecchio tempo Ilda ha
manifestato la convinzione che il ruolo di procuratore aggiunto le sta
stretto, e che sia venuto il momento per il Csm di assegnarle la guida
della procura di una grande città. Le sue domande finora sono state
sempre respinte. Ma ora sta puntando su Firenze. Ha l'anzianità e i
titoli per potercela fare, indubbiamente. Ma il giudizio decisamente
critico della Direzione nazionale antimafia rischia di convincere il Csm
che è rimasta la Ilda di sempre: un mastino delle indagini, un
magistrato dalla volontà di ferro e dalle capacità non comuni. Ma priva
di quelle capacità di dialogo e di mediazione senza le quali organismi
anche meno complessi di una Procura faticano ad andare avanti.