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Citata per la prima volta dal Corasduz che la vede nella collezione Sforza di Santafiora, come "una donna nuda ritratta dal vivo, mezza figura di Raffaele";
poi notato dal Chigi nella collezione Boncompagni, dai quali fu
acquistato dai Barberini, è citato negli inventari Barberini dal 1642.
Il dipinto è il ritratto della donna amata da Raffaello, raffigurata anche nella Velata
di Palazzo Pitti, descritta dal Vasari e identificata in numerosi
dipinti raffaelleschi. Il personaggio è al centro del mito romantico che
nell'Ottocento ha dato origine alla ricostruzione pseudo-storica della
figura della musa-amante del pittore e che portò all'identificazione,
per altro non storicamente provata, dell'amata di Raffaello con
Margherita Luti, figlia di Francesco Senese, entrata subito dopo la
morte di Raffaello nel convento di Sant'Apollonia. Il dipinto, databile
intorno al 1520, anno della morte di Raffaello, rimase probabilmente
nello studio del pittore e fu rimaneggiato e venduto dall'allievo ed
erede Giulio Romano.
La presenza della mano di Giulio Romano è alternativamente
sottolineata o minimizzata dalla critica, analisi radiografiche hanno
comunque individuato due sucessive stesure del dipinto che aveva come
sfondo un paesaggi leonardesco anziché il cespuglio di mirto, sacro a
Venere.
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