Il robot-lumaca "bioibrido". Una nuova frontiera?
Hanno preso parti di tessuti di una
lumaca di mare, la
Aplysia californica,
in particolare un muscolo della bocca e collagene della pelle, le hanno
posizionate su una struttura stampata in 3D e hanno realizzato così il
primo
robot vivente della storia (almeno stando a quello che dicono). A compiere quest'operazione sono stati un gruppo di ricercatori della
Case Western Reserve University,
ateneo con sede a Cleveland, in Ohio, coordinati da
Victoria Webster,
che attualmente sta svolgendo il suo dottorato di ricerca e tra cui
figura anche il direttore del laboratorio di robotica bio-ispirata,
Roger Quinn,
oltre a esperti di biologia delle lumache di mare, di ingegneria
meccanica e aerospaziale e anche di "biomanufacturing" e
microfabbricazione.
Muscolo e collagene
Non se ne è parlato tanto, eppure, a mio parere (
e mi piacerebbe molto sentire anche il vostro)
questo robot (lo potete vedere nella foto qui sotto) apre nuove
frontiere sia alla ricerca che alla discussione sui limiti e i confini
etici della ricerca.

Ma ecco come è stato realizzato, in base alla descrizione che ne
fanno gli stessi esperti della Case Western Reserve. «Abbiamo creato –
ha detto il professor Roger Quinn – un robot che può svolgere compiti
diversi da quelli che possono portare a termine un automa creato
dall'uomo o un animale». La scelta è ricaduta sulla lumaca di mare
perché si tratta di un animale molto "robusto", i cui tessuti e cellule
sono in grado di sopportare notevoli sbalzi di temperatura e modifiche
della salinità dell'acqua.
Victoria Webster ha spiegato perché si è scelto di prelevare parti
dell'animale: «Per noi è importante che il robot sia in grado di
interagire con l'ambiente e adattarvisi. E uno dei principali problemi,
nella robotica tradizionale, che rendono difficile raggiungere questo
risultato è la rigidità degli attuatori», cioè di quelle parti che
imprimono il movimento. Inizialmente si è pensato di utilizzare cellule
dei muscoli dell'animale, che portano con sé la loro riserva di energia,
sono "morbide", sono più sicure rispetto a strutture meccaniche e hanno
anche un rapporto peso-potenza migliore. Poi però si è visto che tutto
il muscolo I2 dell'area buccale della lumaca di mare si prestava
perfettamente così com'era a essere prelevato e utilizzato. Si tratta di
un muscolo a forma di Y, che si biforca. È stato connesso alla
struttura rigida del robot, stampata in un polimero speciale, e imprime
il movimento alla macchina contraendosi e rilassandosi per effetto di
una debole corrente elettrica emessa da una piccola batteria.
La prossima versione
L'idea per una prossima evoluzione è utilizzare il muscolo insieme ai
gangli che lo controllano, che possono utilizzare sia stimoli elettrici
che chimici per indurre le terminazioni nervose a contrarre il muscolo.
Sempre secondo Webster, «insieme ai suoi gangli, il muscolo è in grado
di compiere movimenti più complessi rispetto a quelli governati con un
controllo umano. Ed è anche in grado di imparare». Il team è quindi al
lavoro per realizzare un robot completamente organico, utilizzando
collagene sempre prelevato dall'animale, che il gruppo di studio sta
imparando ad allineare e compattare, utilizzando piccole scariche
elettriche, per dargli la forma voluta e "costruire" una struttura
esterna leggera, flessibile, ma robusta.
Robot di questo tipo potrebbero essere utilizzati per il controllo della
qualità dell'acqua e potrebbero essere rilasciati in sciami senza
doversi preoccupare di recuperarli, perché anche se andassero persi non
inquinerebbero con metalli o batterie.
Scienza di Frankenstein?
Pensando a questo studio mi è venuto alla mente Galvani con le sue rane.
E in effetti è sconfinato l'elenco di ricerche che si sono basate su
parti di animali per giungere a risultati. Ancora oggi tutto il capitolo
sulla sperimentazione animale è aperto e genera discussione. Qui però
il discorso è un po' diverso, perché si impiegano parti di animali per
creare nuove strutture che, sotto certi aspetti, sono "viventi", ma
completamente diverse rispetto alla loro forma e destinazione
originarie.
Ci vedo un po' di scienza di Frankenstein, in tutto questo, con tutto il
fascino ma anche con tutti i dubbi etici che questo comporta. Studiare
tessuti di viventi può essere utile, per esempio, per crearne di
artificiali con caratteristiche molto simili. E con particolari colture
cellulari si può arrivare a creare biomateriali senza per questo
prelevarli direttamente dai viventi. A rigori, quello realizzato a
Cleveland non è neanche il primo robot "bioibrido", perché altri ne
sono stati realizzati, a livello microscopico, utilizzando cellule o
batteri. Ma, se un robot come questo diventasse "di serie", sarebbe
giusto utilizzare le lumache di mare come "riserva" di parti da
cannibalizzare per fare nuovi robot? Potremo spingerci anche a
utilizzare altre specie, magari non soltanto invertebrati, per creare
biorobot "viventi"?
Del resto, già lo facciamo, e da sempre, di utilizzare specie animali
come fonte di prelievo, di cibo, di materiali, di organi. Allargare
questa pratica anche alla robotica verrebbe accettato o rifiutato?
Secondo me la lumaca robot della Case University è molto più importante
per il fatto di entrare in questo territorio ignoto che per quello che
realmente è in grado di fare. Voi che ne pensate?
Scritto in Varie